Sì, mi rendo conto: il titolo può far storcere il naso. Che è ‘sta roba?

Tranquilli: è rugby. Storia del rugby per essere precisi. Ma con qualcosa in più.

Proviamo a ricordare uno degli anni più intensi della storia del rugby (il 1973) facendo seguire al racconto ovale una digressione su uno degli album più importanti della storia del rock, pubblicato quello stesso anno: “Selling England by the Pound” dei Genesis.

Rugby e rock, insomma. O Ruck & Rock, se vi piacciono i giochi di parole.

 

Partiamo dal rugby. Sono passati due mesi dalla conclusione dell’edizione del Sei Nazioni 2015. Un torneo così equilibrato da essere deciso a favore dell’Irlanda solo nei minuti finali dell’ultima partita.

Eppure, guardando al passato, quando le nazioni partecipanti erano cinque, scopriamo che ci sono stati tornei ancora più equilibrati. Ne ricordiamo uno in particolare, il più equilibrato di tutti: quello del 1973.

Prepariamoci per un salto indietro nel tempo, tra maglie di cotone pesante, palloni scivolosi e mete che valgono quattro punti.

L’incontro iniziale del Cinque Nazioni 1973 si disputa il 13 gennaio: a Parigi la Francia ospita la Scozia. Favorite per la vittoria del torneo l’Irlanda di Will McBride e Tom Kiernan e il Galles di Gareth Edwards, JPR Williams e Phil Bennett.

È la prima partita di un Cinque Nazioni giocata dalla Francia al Parco dei Principi, lo stadio che diventa l’home ground dei transalpini al posto dell’Yves du Manoir di Colombes.

È la prima partita di un Cinque Nazioni dopo i tristi eventi del 1972. I quattordici nordirlandesi morti per mano dell’esercito britannico nel Bloody Sunday di Derry il 30 gennaio, le (presunte) minacce dell’IRA a rugbisti gallesi e scozzesi con il conseguente annullamento delle partite casalinghe dell’Irlanda (che aveva battuto fuori casa Inghilterra e Francia e ambiva a conquistare il primo Grand Slam dal 1948). Un torneo che, per la prima volta nel secondo dopoguerra, non si conclude.

La partita inaugurale del Cinque Nazioni 1973 termina con la vittoria della Francia per 16-13.

Una settimana dopo all’Arms Park di Cardiff il Galles sfida l’Inghilterra. Il predominio gallese è netto, grazie soprattutto alla fortissima linea dei trequarti. Altrettanto netto il punteggio finale: 25-9; cinque mete gallesi contro nessuna inglese.

Il Cinque Nazioni si ferma per una settimana. Gli All Blacks, al termine di una lunghissima tournée, affrontano la squadra a inviti dei Barbarians. Un classico. Che quel sabato 27 gennaio 1973 all’Arms Park diviene leggenda. Grazie a “The Try” (o “That Try”, che dir si voglia), la meta più famosa (e secondo molti più bella) della storia del rugby. La partita è cominciata da due minuti. Phil Bennett raccoglie nei propri dieci metri l’ovale calciato dall’ala neozelandese Bryan Williams. È subito incalzato da tre avversari: il buon senso suggerirebbe di calciare il pallone in touche. Invece no. Una finta, due, evitati i placcaggi. Palla a JPR Williams, i Barbarians lanciano l’azione d’attacco a poca distanza dalla propria linea di meta. Ventitré secondi, novanta metri e sei passaggi dopo l’ovale è schiacciato rabbiosamente in meta dal mediano di mischia Gareth Edwards. I cinquantamila spettatori dell’Arms Park impazziscono di gioia al termine di quello spettacolo incredibile e irripetibile. A rendere ancora più leggendari quei momenti il commento in diretta del telecronista Cliff Morgan, che ha sostituito all’ultimo momento l’influenzato (e altrettanto leggendario) Bill McLaren.

La partita si mantiene entusiasmante. Finisce 23-11 per i Barbarians. Non solo una meta straordinaria ma una delle partite più belle di sempre. La conferma del predominio del rugby dell’emisfero nord su quello dell’emisfero sud nella prima metà degli anni Settanta: i British and Irish Lions hanno vinto la serie in Nuova Zelanda nel 1971 e vinceranno la serie in Sudafrica nel 1974.

Il 3 febbraio riprende il Cinque Nazioni. A Edimburgo è di scena il Galles. Incontro in teoria senza storia, visto lo stato di grazia dei trequarti del Dragone, evidenziato prima contro l’Inghilterra poi con la maglia dei Barbarians contro gli All Blacks. Invece la vittoria è appannaggio della Scozia per 10-9: due mete (una trasformata) contro tre calci piazzati.

Il sabato seguente l’Irlanda è pronta per fare il proprio esordio nel torneo. Gara densa di significato perché gli avversari al Lansdowne Road di Dublino sono gli inglesi. Partita in dubbio fino all’ultimo: è la prima che si disputa sul suolo irlandese dopo le sanguinose vicende dell’anno precedente. La squadra inglese decide alla fine di presentarsi a Dublino ed entra sul terreno di gioco del Lansdowne Road accolta dal pubblico in piedi che applaude per cinque lunghissimi minuti.

Partita bellissima e più equilibrata di quanto reciti il punteggio finale di 18-9 per gli irlandesi. A consegnare la partita alla storia la dichiarazione del capitano inglese John Pullin durante il terzo tempo: “We might not be any good, but at least we turned up” (“Forse non abbiamo giocato granché, ma almeno ci siamo presentati”).

Il 24 febbraio si disputano due partite: Scozia – Irlanda e Inghilterra – Francia. L’esito degli incontri precedenti fa pendere il pronostico verso le squadre in trasferta; in particolare l’Irlanda, dopo l’inopinata sconfitta del Galles in Scozia, è diventata la principale candidata alla vittoria finale del torneo.

I verdi chiudono il primo tempo di Murrayfield in vantaggio 10-9, grazie alla meta dell’estremo (e capitano) Kiernan e a due piazzati dell’apertura McGann. Nel secondo tempo l’imprevista rimonta scozzese: punteggio finale di 19-14. Per l’Irlanda svaniscono i sogni di gloria, come erano svaniti per il Galles tre settimane prima proprio a Murrayfield.

Di colpo è la Francia a ritrovarsi nel ruolo di favorita: per confermarsi tale deve battere l’Inghilterra reduce da due brutte sconfitte in trasferta. Ma sul terreno amico di Twickenham sono i bianchi a prevalere per 14-6, grazie soprattutto al gioco brillante degli avanti e alle due mete segnate dall’ala David Duckham.

Punto della situazione al termine delle prime sei (su dieci) partite giocate. Nessuna squadra a punteggio pieno, quindi nessuna possibilità di Grand Slam. Per la Scozia la possibilità di aggiudicarsi la Triplice Corona: per farlo deve vincere a Twickenham.

Prima della Calcutta Cup tra Inghilterra e Scozia assistiamo all’incontro tra le due deluse Galles e Irlanda: va in scena all’Arms Park il 10 marzo. A prevalere è la squadra in maglia rossa per 16-12. Gareth Edwards segna la sua prima meta dopo “The Try”, a completare il punteggio per i gallesi una meta dell’ala Jim Shanklin e i calci di Phil Bennett.

Twickenham, 17 marzo. La Scozia conclude la propria avventura al Cinque Nazioni con una nuova sconfitta che mette fine alle velleità di vittoria del torneo e di conquista della Triplice Corona. Il punteggio è di 20-13 per l’Inghilterra, che varca la linea di meta scozzese per quattro volte (due per tempo): due con il flanker Peter Dixon, poi con Evans e Squires. Scozia mai in partita, sotto per 8-0 dopo i primi quaranta minuti di gioco.

Due gare alla fine del torneo: Francia – Galles e Irlanda – Francia. Francesi e gallesi, gli unici con una sola sconfitta, si giocano la vittoria del torneo: se il Galles esce vincitore dal Parco dei Principi porterà a casa il simbolico trofeo, in caso di vittoria della Francia saranno i transalpini a cercare il successo finale a Lansdowne Road.

La partita tra Francia e Galles, giocata a Parigi il 24 marzo, si rivela molto equilibrata. Nessuna meta, a fare la differenza la precisione al piede. Il mediano d’apertura Jean-Pierre Romeu mette a segno tre calci piazzati e un drop, il suo omologo gallese Phil Bennett realizza solo un drop e se ne va negli spogliatoi con il rimpianto di quattro calci piazzati falliti. Il punteggio finale è dunque 12-3.

Il torneo si conclude a Dublino sabato 14 aprile. Alla Francia basta un pareggio per vedere scritto il proprio nome nell’albo d’oro. C’è molto vento a Lansdowne Road, non è la giornata favorevole per chi vuole incrementare il punteggio della propria squadra cercando di centrare i pali. Infatti Jean-Pierre Romeu, protagonista contro il Galles, fallisce quattro esecuzioni: tre calci piazzati e una trasformazione. Così la Francia racimola solo 4 punti, grazie alla meta segnata nel secondo tempo dall’ala Jean-Francois Phliponeau. All’Irlanda sono così sufficienti due calci piazzati (uno per tempo) per vincere la partita con uno striminzito 6-4.

Finisce il Torneo delle Cinque Nazioni 1973. Facciamo due conti per capire chi ha vinto.

Emerge un dato incredibile. Le dieci partite giocate sono state vinte tutte dalla squadra di casa. Poiché le squadre sono cinque e ciascuna ha giocato due partite in casa e altrettante in trasferta, il conto è presto fatto. Tutte e cinque le squadre hanno terminato il torneo con 4 punti.

Il regolamento non contempla meccanismi di calcolo aggiuntivi, come la differenza punti o le mete segnate, pertanto il Cinque Nazioni 1973, fatto unico nella storia del torneo, si conclude senza vincitori. O, se volete, con tutte e cinque le squadre vincitrici.

 

Ne avete abbastanza di rugby? Bene, ora parliamo di musica. Restiamo nel 1973 partendo da una riflessione: è probabile che qualcuno di quelli che ricordano le vicende di quel Cinque Nazioni abbia avuto la fortuna di vedere esibirsi dal vivo la band che pochi mesi dopo la fine del Cinque Nazioni avrebbe pubblicato uno dei suoi capolavori. In quegli anni, infatti, i Genesis suonavano abitualmente in Italia, poiché nel nostro paese avevano molto più seguito che nella natia Inghilterra.

Un breve preambolo per ripercorrere la carriera dei Genesis fino al 1973. Il primo album risale al 1969: l’acerbo “From Genesis to Revelation”, pubblicato con la Decca e passato pressoché inosservato. Un anno e mezzo viene pubblicato con la Charisma, etichetta appena fondata e destinata ad accogliere numerosi gruppi di successo dell’epoca, l’album “Trespass”, disco molto più convincente del precedente e che contiene alcune tracce (come “Stagnation” e “The Knife”) che lasciano intravedere le capacità compositive ed espressive che si manifesteranno compiutamente nei lavori successivi.

“Nursery Cryme” è l’album che segna la maturità del gruppo. In questo disco compaiono i musicisti “storici” della band, che lasceranno una traccia indelebile nella storia del rock: Peter Gabriel (voce e flauto), Steve Hackett (chitarra), Mike Rutherford (basso), Tony Banks (tastiere), Phil Collins (batteria). Le composizioni sono caratterizzate da complessi intrecci strumentali, lunghi assoli, testi raffinati (su tutte “The Musical Box”, “The Return of the Giant Hogweed”, “The Fountain of Salmacis”); contengono insomma gli aspetti tipici di quella forma musicale identificata con il nome di “progressive rock” e di cui i Genesis sono destinati a diventare esponenti di primo piano. Eppure l’album vende poco in Inghilterra; raccoglie però riscontri di pubblico e critica all’estero, in particolare in Belgio e in Italia. La band sbarca così in Italia all’inizio del 1972. È un periodo di fervente attività e creatività: le pause tra un concerto e l’altro sono utilizzate per comporre nuovo materiale. Il testo di “Watcher of the Skies”, ad esempio, ispirato al romanzo “Le guide del tramonto” di Arthur Clarke, è composto da Banks e Rutherford sulla terrazza dell’Hotel Domitiana a Napoli il 19 aprile, tra il concerto pomeridiano e quello serale al Teatro Mediterraneo. Diventerà il brano d’apertura dell’album seguente, “Foxtrot”, pubblicato nell’ottobre del 1972: il primo che consente ai Genesis di “affacciarsi” nelle classifiche di vendita britanniche.

Questo disco rappresenta, a giudizio di chi scrive, il culmine della carriera dei Genesis. Brani intensi, arrangiamenti perfetti, esecuzioni impeccabili “orchestrate” dalle tastiere di Banks. Il climax è raggiunto con la suite “Supper’s Ready”, un viaggio di ventitré minuti fra tempi dispari, melodie complesse, ballate, accelerazioni.

Arriviamo così al 1973. Peter Gabriel è nel frattempo diventato il leader indiscusso della band. Il timido studente della Charterhouse (il college del Surrey frequentato dai membri fondatori dei Genesis) si è rivelato non solo un ottimo cantante ma anche un abile istrione, capace di catturare nei concerti l’attenzione del pubblico, grazie ai travestimenti e ai lunghi discorsi che introducono le canzoni. L’incipit di “Dancing with the Moonlit Knight”, il brano iniziale di “Selling England by the Pound” è affidato proprio alla voce di Gabriel, quasi a conferma di questa leadership. L’album è pubblicato nell’ottobre del 1973 e riafferma lo stato di grazia della band che proseguirà con il successivo “The Lamb Lies Down On Broadway”.

La già citata “Dancing with the Moonlit Knight” costituisce l’ennesima gemma dei Genesis dell’epoca. Il canto a cappella di Gabriel traccia il solco per l’ingresso della chitarra di Hackett prima e degli altri strumenti poi: si passa da un canto dolente a una parte strumentale vorticosa scandita da potenti riff di chitarra, un andamento che ricorda quello di “The Musical Box”. Si torna nel finale a un ritmo placido e onirico che sfuma lentamente verso il secondo brano del disco.

“I Know What I Like (In Your Wardrobe)” rappresenta il primo successo commerciale dei Genesis. Il ritmo orecchiabile, la composizione semplice (solo in apparenza) suggeriscono la pubblicazione della canzone come singolo, sebbene non costituisca certamente il momento migliore dell’album. Raggiunge la posizione numero 21 nelle classifiche britanniche dei 45 giri e trascina l’album al terzo posto di quelle dei 33 giri. I Genesis sono finalmente profeti in patria!

Nella scaletta dell’album segue “Firth of Fifth”, uno dei brani di punta non solo dei Genesis ma dell’intera produzione musicale degli anni Settanta. Una lunga e complessa introduzione al pianoforte (così complessa che solo in rare occasioni sarà suonata dal vivo da Banks) prepara l’ingresso in scena del cantato di Gabriel e degli altri strumenti. Ognuno dei componenti della band offre il proprio contributo alla lunghissima ed eccellente parte strumentale, incluso Gabriel che si esibisce al flauto. È ancora il pianoforte di Banks protagonista nella chiusura del brano dopo dieci intensissimi minuti.

“More Fool Me” è uno dei pochi momenti deboli del disco. Una ballata acustica destinata a restare nella storia per il solo fatto di avere Phil Collins come voce solista. Un inconsapevole presagio di quello che accadrà due anni dopo, con l’abbandono del gruppo da parte di Peter Gabriel.

Il lato B si apre con la lunga “The Battle of Epping Forest”. Come per “Dancing with the Moonlit Knight”, Peter Gabriel si diverte a intessere un testo basato su metafore e complessi giochi di parole, prendendo spunto da un tema di attualità: uno scontro tra bande rivali nei dintorni di Londra.

“After the Ordeal” è un brano strumentale scritto da Steve Hackett, preludio al capolavoro finale: le due tracce “The Cinema Show” e “Aisle of Plenty”.

“The Cinema Show” si apre con la chitarra a dodici corde di Hackett e la voce di Gabriel e sfocia poi in una lunghissima parte strumentale resa indimenticabile dalle tastiere di Banks; sfuma poi nella breve “Aisle of Plenty”, in cui ritroviamo i giochi di parole di Gabriel e che si conclude con la frase “It’s fried eggs” (“Ci sono uova strapazzate”), richiamo alla monumentale “Supper’s Ready” (“La cena è pronta”) dell’album precedente.

Nuova tournée, la quarta in Italia: non più come band emergente e di talento ma come rockstar.

Nel 1974 il nuovo doppio album: il concept “The Lamb Lies Down On Broadway”, l’ultimo disco con Peter Gabriel.

Ma questa è un’altra storia che racconteremo, forse, un’altra volta.

Andrea Pelliccia

 

Le immagini che seguono sono: copertina del programma Irlanda – Inghilterra del 10 febbraio 1973, immagini di Barbarians – All Blacks del 1973 (tratte dal programma ufficiale Barbarians – All Blacks del 1974), cartolina con la formazione della Francia schierata contro il Galles nel Cinque Nazioni 1973, copertina del disco “Selling England by the Pound”.