Roma – Simone Favaro, oggi flanker della Nazionale Italiana e dei Glasgow Warriors, fu il primo a varcare i cancelli dell’Accademia Nazionale “Ivan Francescato, allora di base a Tirrenia, una mattina di settembre del 2006.

Quel giorno, presso il Centro di Preparazione Olimpica del CONI, alla presenza dei fratelli dell’indimenticato trequarti dell’Italia Anni ’90, prendeva vita il progetto-Accademie che, nelle stagioni successive avrebbe allargato i propri orizzonti sino ad assumere la connotazione attuale: trentadue Centri di Formazione U16, nove Centri di Formazione Permanente U18, l’Accademia Nazionale U19, oggi con sede a Parma.

Un percorso che, nell’ultimo decennio, non ha solamente visto ventiquattro atleti provenienti dall’Accademia indossare la maglia della Nazionale Maggiore ma – soprattutto – ha contribuito ad affiancare i Club italiani nella formazione di centinaia di giovani atleti.

Per raccontare i primi dieci anni del “Progetto Accademie” la Federazione Italiana Rugby ha rilasciato oggi il documentario “Accademie, 10 anni di formazione” prodotto in collaborazione con Irida Produzioni: dodici minuti per raccontare le Accademie non solo come strumento di formazione sportiva ma anche e soprattutto di crescita umana dei giovani che le frequentano, raccontandone gli obiettivi e le ambizioni non solo attraverso le parole degli atleti protagonisti ma anche dei tecnici, dei docenti e dei genitori.

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A raccontare le Accademie nel documentario, girato in maggio tra la struttura federale di Milano e quella di Parma, troviamo tecnici come Carlo Orlandi e Fabio Roselli, ma anche la Preside del Leone XIII di Milano, la vice-preside del Maria Luigia di Parma, i genitori di atleti che hanno frequentato o frequentano le Accademie, alcuni Azzurri che – come Edoardo Gori, capitano della Nazionale nell’ultima tournèe estiva – dalle Accademie hanno mosso i passi verso il grande rugby internazionale.

“Le Accademie – spiega proprio Edoardo Gori nel documentario – hanno influito molto ed in modo positivo sul mio percorso sportivo ed umano. A chi le frequenta oggi non posso che suggerire di continuare sempre nel proprio percorso di studi, perché il rugby è uno sport magnifico, ma dobbiamo pensare anche a quello che arriva una volta conclusa questa splendida avventura”.

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