Alice_TrevisanDai campi di periferia all’Aviva Stadium. Rimarco il titolo perché è giusto dare al rugby femminile italiano lo spazio che merita e che si è guadagnato vincendo sul campo, soprattutto a livello internazionale. Perché il rugby in rosa ha fatto tanta strada, l’ha fatta bene e in maniera assolutamente costruttiva. Le ragazze del rugby, infatti, vincono: in questo Sei Nazioni già due vittorie, sul Galles e sulla Scozia e la consapevolezza di essere, edizione dopo edizione, un gruppo sempre più competitivo e di livello. Già perché questa nazionale maggiore cambia, si rinnova, ma continua ad ottenere risultati importanti e a sfornare atlete d’interesse continentale. Vogliamo parlare, ad esempio, di Michela Sillari, Manuela Furlan, Silvia Gaudino, Awa Coulibaly, Maria Grazia Cioffi? A vederle giocare contro le tanto blasonate giocatrici britanniche, c’è davvero da rimanere a bocca aperta, per la semplicità e la naturalezza con cui le superano o le “schiantano” al suolo. Ma da dove “vengono fuori” queste superdonne del rugby? Ma dal nostro tanto ignorato e penalizzato campionato italiano. Quello non seguito a livello mediatico e ignorato dai più, che tuttavia continua a dare la possibilità a tante giocatrici italiane di cimentarsi nel rugby a XV e competere per il titolo italiano. Ho specificato “di rugby a quindici”, perché nel bel paese c’è anche un campionato “seven”, che permette a tantissime piccole realtà (molte delle società appena nate vi partecipano) di avere un obiettivo concreto e tangibile. Che poi, detto tra noi, proponiamo un campionato seven, ma tuteliamo ben poco la disciplina “a sette” a livello nazionale e internazionale, tanto maschile che femminile, ma questa è un’altra storia. Tornando al rugby in rosa, personalmente, trovo ancora troppe persone che lo snobbano a prescindere, senza conoscerlo. Io stesso, all’inizio, ero scettico, ma poi informandomi e guardandolo, non ho potuto che cambiare idea, visto e considerato il gran bel gioco dell’Italia e la voglia di crescere e di imparare, che si respira su tutti i campi da rugby al femminile; dalla serie A, fino agli avamposti più sperduti della realtà ovale  italiana (e sono davvero tanti). Una cosa certa, però, è che se vogliamo affermarci definitivamente, dobbiamo rafforzare le fondamenta del campionato italiano, lavorare sul rugby di base, in modo tale da garantire ricambi costanti alle formazioni seniores, che devono essere aiutate a crescere costantemente: più squadre regionali, infatti, significherebbe trasferte meno lunghe per le prime squadre e abbattimento dei costi; più squadre regionali, vorrebbe anche dire avere la necessità di formare sempre più tecnici “al femminile”, qualificati e interessati, cosa che di conseguenza aiuterebbe non poco la crescita del movimento generale. Facendo la somma di tutte queste piccole cose, in conclusione, potremmo rischiare, davvero, di diventare una delle potenze rugbistiche al femminile del vecchio continente. Io ne sono convinto. Ora, sicuramente, visto quanto fatto da queste superdonne del rugby (ribadisco)  è arrivato il tempo anche per le alte cariche federali di accorgersi di loro e dare  l’opportunità (concretamente) a questo movimento ovale di evolversi, migliorarsi ulteriormente e continuare, così, a sfornare giocatrici di livello assoluto. Perché l’Italrugby che vince, ad oggi, è donna.

@davidemacor

 

Questa un’analisi, più o meno condivisibile, dell’oggi. Tuttavia, per arrivare fino a questo punto, di strada se n’è fatta tanta, anzi tantissima e moltissime sono state le atlete che hanno amato e promosso questa disciplina negli anni addietro. Nelle prossime settimane proveremo a coinvolgere alcune dirette interessate che, in passato, hanno vestito l’azzurro o si sono fatte promotrici in prima persona del movimento rugbistico femminile italiano.