Odio lasciare le cose a metà, ragion per cui procedo con l’analisi dettagliata del “gesto tecnico” nel mondo del rugby.

“Il placcaggio a zainetto”: è una peculiarità dei giocatori di rugby più piccolini, che si trovano a dover placcare il “gibbone”(uomo molto grosso e corpulento) di turno. Un mio compagno di squadra che giocava mediano di mischia era abilissimo in questo tipo di placcaggio: aspettava di essere superato e poi si avvinghiava al malcapitato come uno zainetto Invicta e si muoveva finchè l’avversario non crollava esausto. Certo spesso e volentieri era amichevolmente portato in spalla in meta, ma le volte che riusciva a placcarlo era un tripudio di applausi e “pacche sulla schiena”.

“Il calcio con le scarpe del Sultano”: tipico di molti giocatori che si pensano calciatori, ma in realtà non lo sono proprio. È il caso di un primo centro che si definiva un’apertura mancata. Di norma quando eravamo in vantaggio considerevole si cimentava in una serie infinita di calci…tutti sbagliati. Il suo marchio di fabbrica era, appunto, il “calcio con le scarpe del Sultano”, ribattezzato così perche finiva sempre almeno cinque metri in dietro, con tutte le difficoltà del caso. La sua autostima però non gli ha mai fatto ammettere l’errore, o il fatto che aveva realmente un piede terribile. Di norma dichiarava “Maledetto vento”, anche nelle giornate in cui il vento non c’era proprio.

“Il tuffo a braciolata”: è un gesto tecnico che un compagno di squadra in gioventù , andava orgoglioso di sapere fare. In anni di rugby non gli è mai venuto. Durante un video era rimasto estasiato da un placcaggio così detto “alla samoana” e per il resto della sua carriera ha provato ad emularlo,  con qualche (secondo lui) miglioria. Praticamente la sua abilità era quella di sbucare all’ultimo da dietro un raggruppamento, per fermare una penetrazione, tuffandosi letteralmente a braccio largo contro il portatore di palla. Il 94% delle volte l’avversario si spostava e lui impattava rovinosamente al suolo. Le volte che non sveniva per il colpo finiva la partita, le altre si riprendeva in spogliatoio. In tanti anni nessuno ha mai avuto il coraggio di chiedergli perché lo facesse.

“La coda dell’occhio”: tipico dei tre quarti, nello specifico di un estremo che si sentiva un mix tra Carlos Spencer, Frédéric Michalak, Dan Carter e Ferruccio Minarelli (il più grande estremo del Brunoro rugby Club dal 1936 al 1936 e un mese, data del fallimento della società). Lui adorava inserirsi nella linea di tre quarti e una volta aperto gli spazi, passare con “La coda dell’occhio”: questo gesto significa sparare un passaggio completamente a caso, pur avendo la consapevolezza della presenza del tuo compagno di squadra a fianco. Questo “preziosismo del rugby” ha dato luogo a numerose situazioni sfavorevoli:
– mega intercetto, con conseguente meta avversaria;
– touche diretta per gli avversari;
– pallonata in faccia al malcapitato compagno di squadra, che era poi costretto a stare fuori un bel po’ causa trauma cranico;
Nonostante gli esiti disastrosi del suo passaggio ne è andato fiero fino al momento in cui ha appeso le scarpe al chiodo.

Continua…