Il Mediano d’Apertura
Il suo riscaldamento…breve corsetta, stretching ad una gamba (quella con cui calcia) e poi solo calci di spostamento e in mezzo ai pali. Una ricerca costante del gesto estetico e del gesto sportivo, il giusto mix per ottenere il massimo dell’appeal verso gli spettatori e, soprattutto, le spettatrici. Lui sa, per cui sostiene di non doversi stancare troppo, ottanta minuti sono tanti e lui deve affrontarli a “mente libera”. Molti nel corso degli anni hanno provato a decifrare la mente dell’apertura, ma a tutt’oggi nessuno è ancora arrivato ad una degna conclusione. Sarà per questo che l’Italia non ha ancora un apertura di ruolo? Possibile, ma non quantificabile.

I centri
Così vicini eppure così lontani, loro che dovrebbero viaggiare di pari passo sono spesso e volentieri diversi, decisamente diversi. Il primo è di norma quello più “ignorante”, quello che apre gli spazi e si sacrifica per gli altri, mentre il secondo è una seconda apertura, abile, veloce, pratico, e concreto. Nonostante queste differenze, però, ci sono dei momenti in cui il loro equilibrio è perfetto, la salita difensiva e il sostegno reciproco su tutti. Il loro riscaldamento si svolge in maniera concreta: scatti intensi, molto stretching e altrettanto relax.

L’estremo
E chi può dire di conoscerlo veramente…solo le ali. Lui se ne sta in fondo per gran parte della stagione e solo sporadicamente lo incontriamo. Il suo riscaldamento è basilare, tanto l’unico modo per lui di non patire il freddo e di vestirsi tanto, in ogni caso l’abbigliamento è il suo tocca sana e il suo punto di forza. Tutina riscaldante integrale, scaldamuscoli, doppio calzettone e maglietta in pile a collo alto, forse con questi indumenti arriva all’ottantesimo, altrimenti solo il thè caldo può aiutare.

Le ali
Categoria difficile da descrivere, loro in una giornata di pioggia battente escono puliti come nessuno mai, in un campo di fango e sassi arrivano all’ottantesimo minuto intonsi e privi di tagli. Sono una categoria tanto utile quanto particolare. Sono, come già detto in precedenza, gli “esteti del rugby” per cui il loro riscaldamento è un banco di prova della divisa indossata, una sorta di passerella che porta all’evento ufficiale, ovvero la partita (non tutte le ali sono così, la maggior parte).

L’allenatore
Lui capisce come andrà la partita dal riscaldamento, dice, che è lo specchio dell’incontro. Partendo da questo presupposto di norma è già nervoso, perennemente infastidito e, se fumatore, dotato di una capacità polmonare di due pacchetti a match, se va bene. È l’uomo in più della squadra, quello che da buoni consigli, fa ramanzine colossali, partecipa ai terzi tempi in maniera più che attiva ed è fondamentalmente devoto alla causa della squadra, nel bene come nel male.

Il preparatore atletico
Il ruolo più fastidioso dell’organigramma societario. Tutti i rugbisti odiano l’atletica, odiano correre per ore, fare fatica con pesi alle caviglie, girare senza senso attorno ad una pista, oppure scattare per ore su distanze medio – lunghe. Nonostante tutto questo lui il suo lavoro lo svolge sempre, anche se tutti lo insultano (capita ad ogni allenamento) lui lo porta a termine senza troppe distrazioni.

L’accompagnatore
(premetto e spero che nessuno se la prenda) Di norma è quello che di rugby ci capisce di meno, forse forse ne sa più mia nonna rispetto ad un accompagnatore come si deve. La cosa che è maggiormente frustrante è che le sue frasi fatte, i suoi consigli e le sue frecciatine sono considerate da tutti, del resto se va in panchina qualcosa saprà, dicono in molti. Nonostante questo aspetto per tutto quello che riguarda l’organizzazione, l’accompagnatore è impeccabile, preciso e puntuale.

La panchina
Non si riscalda mai, all’urlo di: “Tanto giochiamo tra 40 minuti, facciamo in tempo a raffreddarci”. Ragion per cui è la parte della squadra più soggetta ad infortuni e maggiormente insultata dall’allenatore che li deve anche sopportare per gran parte dell’incontro.