Il momento della stagione rugbistica forse più impegnativo è, senza ombra di dubbio, il ritiro. Una tre giorni (per i più fortunati) o sei giorni (per i più sfigati), dove il giocatore di rugby è messo a dura prova sotto ogni punto di vista. In primis sotto l’aspetto fisico, mortali gli allenamenti in quel periodo, poi anche l’aspetto mentale è messo sotto pressione, perché rimanere concentrati per così tanto tempo solo sullo sport è dura, figuriamoci poi quando si è giovani…
Io al primo vero ritiro avevo 15 anni ed era la prima volta che mi convocavano in nazionale giovanile, feci 15 giorni filati chiuso in un centro sportivo, con solo la domenica pomeriggio libera (si fa per dire, visto l’analisi video/interrogazione che facemmo). Mai nella vita avrei pensato di amare così tanto il ritorno a casa e la mia famiglia.  A parte quel primo arduo momento, in seguito una volta approdato in seniores, ho avuto la fortuna/sfortuna di viverne molti altri, alcuni dei quali anche “grottescamente” divertenti.

Un oscuro villaggio in montagna di cui non ricordo (o non voglio ricordare) il nome…
Sei giorni d’inferno, dove mi capitò di tutto, da un acquazzone in quel di Lubiana luogo della prima amichevole, ai migliaia di chilometri di corsa in salita, ai bagni “refrigeranti” nel torrente vicino alla pista di atletica.
La cosa, però, che forse ha caratterizzato maggiormente quell’esperienza è stata la camera dell’albergo: arrivato in ritardo, come da copione, a me e il mio compagno di viaggio capito una stanzetta su due piani…e la camera da letto era di sopra. Per i primi due giorni, causa acido lattico, le scale sono state amichevolmente evitate: dormivamo a turno sul divano al “primo piano”.

Un oscuro villaggio di pianura di cui non ricordo (o non voglio ricordare) il nome…
Tre giorni all’insegna dell’atletica e della sofferenza. Per prima cosa ci hanno dispersi in un bosco, e abbiamo dovuto dormire in rifugi di fortuna, costruiti da noi: doveva servire a fare gruppo, ma l’esito è stato dormire a casaccio sparsi per il bosco (alcuni, schifati, si sono avviati a casa. Li abbiamo rivisti in settimana ad allenamento, mai nessuno ha chiesto come avevano fatto). Poi ci hanno detto di correre e noi l’abbiamo fatto…ma non avevano detto quanto…un lasso di tempo interminabile. Una volta finita la “corsetta” ci hanno detto che dovevamo rientrare in tempo per la cena, a piedi chiaramente: il problema è che il nostro “albergo” era in un punto indicibile tra le colline, per cui nessuno è riuscito ad arrivare in tempo (a parte lo straniero, che forse per la stazza, è riuscito a fermare un camion e si è fatto riportare).

Un oscuro villaggio in riva al mare di cui non ricordo (o non voglio ricordare) il nome…
Aria di mare = benessere…non quella volta! L’esordio fu di 4km di corsa in riva al mare, con i pesetti ai piedi. Il tutto chiaramente sotto il sole cocente, perché non bastava la corsa sulla sabbia, doveva essere fatta anche in un orario in cui avremmo potuto sudare per bene.
Il secondo giorno, oltre ad un po’ di rugby, venimmo sottoposti ad un percorso di resistenza sui gradoni dello stadio del paese, penso fosse la costruzione più alta della provincia. Fu un Sali scendi continuo per almeno un ora e mezza…alla fine le gambe imploravano pietà. La speranza fu l’ultima a morire, ma morì eccome in quell’occasione, perché la navetta finale fu una tremenda sorpresa. Non parliamo poi della partita del giorno dopo, noi sembravamo giocare con delle mattonelle di cemento armato nei pantaloncini, gli avversari viaggiavano a velocità inimmaginabili (erano una squadra amatoriale, per lo più old e ragazzi che non avevano mai visto un pallone ovale, in quell’occasione però ebbero il loro giorno di gloria).

Un oscuro villaggio di cui ricordo il nome, ma sono dieci anni che tento di dimenticarmelo…
In quella settimana pensai seriamente di non essere un giocatore di rugby, non vedemmo mai la palla. Fu un “all inclusive” di atletica e sofferenza. Circuiti in palestra per fare fiato, circuiti in campo per fare fiato, circuiti in pista (con paracadutino) per fare fiato, di nuovo circuiti in campo (con copertone da trainare) per fare fiato. Per non parlare del giorno di “relax”: una passeggiatina che l’allenatore di allora voleva a tutti i cosi fare, non ricordo il dislivello, ma fu la morte, più di uno sostenne di aver visto la madonna indicargli la strada giusta.