Che dire, olio canforato è rugby sono due parole che si muovono di pari passo. Chi nelle fredde notti d’inverno non ne ha usato qualche litro, nel tentativo di scaldarsi? Tutti, almeno una volta. Certo ad oggi, esistono tute che non ti permettono di raffreddarti, scaldamuscoli con riscaldamento incorporato e via dicendo, ma una volta, tutto questo non c’era e così via di olio e altri rimedi! Ecco proprio di questo vorrei scrivere oggi. Per quello che riguarda il fattore freddo ho dei nitidi ricordi, delle varie metodologie usate per tentare di combatterlo, in modo particolare quelle dei pre- partita ad Alpago. Un ridente località dispersa nelle montagne del bellunese, dove il freddo in inverno è all’ordine del giorno. Quella mattina arrivammo con le solite 3 ore d’anticipo sulla partita, aperte le porte della corriera, nessuno ebbe il coraggio di uscire, nemmeno i fumatori accaniti (loro normalmente in ogni momento d’ossigeno, si fanno fuori almeno 3 sigarette), ma in quell’occasione tutti rimasero fermi. Una folata di brezza gelida aveva riempito il pullman e nessuno aveva intenzione di muoversi. Chiaramente il capitano venne spinto più dal suo ruolo istituzionale, che dalla voglia di uscire, si alzò e ci trascino tutti all’aperto. L’aria era cristallina, il cielo coperto e il freddo a dir poco pungente: il termometro del bar, segnava -14. A quella vista i più sostennero che l’arbitro avrebbe certamente proibito di giocare con quelle temperature, troppo basse, ci si rischiava davvero di far male. Poco dopo, però, si rifletteva sul fatto che giocavamo a rugby, mica a calcio, per cui la partita si sarebbe giocata in ogni caso, in qualsiasi condizione atmosferica. Ragion per cui, dovevamo acclimatarci in tre ore, un lasso di tempo che tutti avrebbero dovuto coprire in qualche maniera. C’era chi, con la scusa di abituarsi al freddo, fumava, una sigaretta dopo l’altra senza nemmeno usare l’accendino (racconto metropolitano), altri se ne stavano rintanati al bar, al caldo, bevendo caffè e leggendo qualsiasi cosa: dai quotidiani locali, a annunci di vendita di case, a libri Rosa abbandonati la da tempo immemore. I più seri, invece, passeggiavano attorno al campo per controllarne le condizioni, tentando di “sciogliere” le gambe e arrivare alla partita pronti e scattanti. Le così dette “scene madri”, però, arrivavano una volta entrati in spogliatoio: i piloni si ricoprivano di olio canforato, interamente, lasciando solo uno spazio vaselina sulla fronte e orecchie. Erano talmente unti da risultare imprendibili, non per velocità, ma perché erano maledettamente scivolosi! Penso che con quei quantitativi di canfora addosso, il freddo non era percepito perché era più doloroso il bruciore causato dall’olio stesso. Altri invece si vestivano a cipolla, ali scambiate dall’arbitro per tallonatori, talmente tanti vestiti avevano addosso. Altri ancora, si mettevano della carta nei pantaloncini, teneva caldo, sostenevano e guai a contraddirli. Il migliore in assoluto fu, però, una seconda linea che si vestì in tuta da casa, quelle in flanella orribili già al tempo, si mise sopra la maglia da gioco, due paia di calzini della squadra e uscì in campo. Quello più fantasioso, invece, fu un muratore che giocava terza linea, il classico placcatore, devoto allo sport, che non mancò mai una partita in tutta la sua vita, tranne quella domenica. Eh si, se ne uscì con una tazza in ceramica in cui sciolse delle strane erbe, consigliate da sua nonna, bevendosi tranquillamente l’intruglio. Peccato che invece di creare tepore, causo crampi e una “cagarella” di quelle epiche: risultato giocatore indisponibile, risate generali e sfottò che durano tutt’oggi, a distanza di quasi 30 anni. Per la cronaca quel pomeriggio nevicò, noi vincemmo di un punto e fummo costretti a fermarci in un hotel sulla via del rientro perché scesero 35 cm (la precisione è frutto del vecchio da bar del tempo, che sentenziò questo vedendoci entrare in hot. Potevano tranquillamente essere 10 cm, ma così risulta più vissuta come storia) di neve in meno di mezz’ora.