E poi, in un tardo pomeriggio di trentuno anni fa, buona parte del mondo in cui credevo scomparve in un “click”. Sono sempre stato un sognatore. Ho sempre voluto credere nella legalità e nell’imparzialità dello stato e dei suoi “operai”. Ho, allo stesso tempo, sempre saputo che, purtroppo, le mele marce sono dappertutto, ma una volta ancora l’essere umano, in quel 23 maggio 1992, mi lasciò senza parole. 400 kg di tritolo, infatti, spazzarono via una delle persone che più avevano fatto per il futuro dell’Italia: il Magistrato Giovanni Falcone. Assieme a lui, purtroppo, morirono sua moglie Fracnesca Morvillo e gli uomini della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani. Ad ucciderlo la mafia. Un’organizzazione malavitosa, ben radicata nella società italiana, capace di arrivare ad influenzare anche le cariche più in vista dello stato.
Ma torniamo a noi. Io, da sempre in questa piccola rubrica, parlo di rugby. Per cui, come piccola testimonianza di quel tardo pomeriggio vi riporto solo le sensazioni provate e l’aria che si respirava in squadra.

“Più che primavera, sembrava fosse già estate inoltrata. Il caldo era tanto e l’allenamento pomeridiano lo stavamo facendo in vista dei play off promozione. Tutto filava liscio. I piloni correvano, mentre Antonio, il mediano d’apertura, azzeccava tutte le giocate e i calci di spostamento. Ad allenamento ultimato, in un piccolo spazio d’ombra antistante gli spogliatoi, i più si distesero per godersi un po’ di fresco serale. Mauro, la seconda linea, accese la radio della club house e così iniziarono tutti a rilassarsi sul serio, mentre Andrea (il tallonatore) passava ai più qualche lattina di birra fresca. Tutto filava liscio, fino a quando una canzone di Zucchero venne bloccata per un’edizione speciale del radiogiornale. La voce quasi tremante del cronista, spezzò il silenzio iniziale sussurrando: attentato al Magistrato Giovanni Falcone, colpita anche la moglie Francesca Morvillo e la scorta. Le condizioni del giudice sono critiche. Gli uomini della scorta sono morti. Quello che si può vedere dalle prime immagini è una situazione apocalittica, l’autostrada non esiste più, la bomba ha spazzato via tutto quanto. Tutti, all’udire, la notizia stettero in silenzio. Ricordo il vecchio custode fumare lentamente una sigaretta con aria affranta e arrabbiata. Ricordo le facce dei ragazzi, tutti increduli e “incazzati”. Ricordo la sensazione di vuoto che provai e poi l’odio. L’odio per chi aveva ucciso una persona che stava lavorando per l’Italia del futuro. Per garantire anche ai miei figli e nipoti di poter vivere in un paese migliore. Chiaramente non potevo starmene con le mani in mano e decisi di partecipare almeno ai funerali. Non fu facile, erano giorni “caldi”. C’era tutta Palermo e non solo. Ma c’erano anche molti rappresentanti dello stato che, prima, invece di tutelare il lavoro di Giovanni Falcone, l’avevano ostacolato, accompagnandolo, in fin dei conti, alla morte. Non voglio tuttavia entrare nel merito, questo infatti è solo il parere di un vecchio rugbista. Tornando al rugby, invece, i miei ragazzi giocarono il “play off” senza l’allenatore, perché io viaggiai verso la Sicilia. Nessuno si lamentò, perché in cuor loro sapevano che stavo facendo la cosa giusta e che era importante esserci per dare un segnale forte; quale? (mettiamolo al presente, visto che è sempre attuale) Che l’Italia e gli italiani sono contrari alla mafia e che sono vicini alla Sicilia, allora (e non solo allora) troppo spesso accomunata ad una realtà di malavita che non le appartiene”.

Per non dimenticare, mai. 23 maggio 1992 – 23 maggio 2016

@anonimorugbista

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