È sera, Guillermo Montes, il nuovo allenatore del Padua Rugby Ragusa, è seduto di fronte a me, nei piatti una schiacciata al prosciutto, sulla tavola tanto altro ben di Dio, nei bicchieri una bionda ghiacciata. Possiamo iniziare.

Guillermo, guardiamo la tua carta d’identità.
Mi chiamo Carlos Guillermo Garcia Montes, sono nato a La Plata, in Argentina, il 22 marzo del 1966 e dunque ho 48 anni.

Carlos Guillermo Garcia Montes? Ma allora perché tutti chiamano Guillermo Montes?
Anche mio padre si chiama Carlos e dunque, per non confonderci, tutti mi hanno sempre chiamato “soltanto” Guillermo. Garcia Montes è invece il mio cognome completo, ma siccome qui in Italia Garcia, che si dovrebbe pronunciare “garsìa”, per tutti diventava “garcìa”, ho scelto di ometterlo.

Che città è La Plata?
È una grande città. Ha circa ottocentomila abitanti (ma, considerando la banlieue, gli abitanti arrivano a un milione e mezzo), è il capoluogo della provincia di Buenos Aires ed è sede di una tra le più importanti università argentine.

Parlami della tua famiglia.
Sono nato in una famiglia benestante. I miei erano proprietari di un negozio di mobili. Ho due sorelle più piccole e la nostra gioventù è stata abbastanza agiata. Ho frequentato una scuola per manager commerciale e nel pomeriggio, dopo aver fatto i compiti, davo una mano ai miei genitori. Finita la scuola superiore ho iniziato a lavorare a tempo pieno in negozio e mi sono anche iscritto all’università. Nel frattempo mi sono sposato e sono arrivati due figli, Federico, nato nell’ottobre del 1991, e Luciano, che è del luglio 1998. Adesso il grande sta per diventare ingegnere e, probabilmente verrà in Europa per uno stage di sei mesi, mentre il piccolo studia ancora al liceo.

Durante tutti quegli anni hai giocato a rugby. Quando hai iniziato?
Avevo 10 anni. Ho iniziato insieme a mio cugino. Siamo andati al campo per provare, e io ci sono rimasto per 28 anni. A mio padre il rugby non piaceva, non mi ha mai visto giocare, e non voleva che lo praticassi. Ma io non volevo smettere e così ho continuato anche senza il suo consenso.

Quante squadre ci sono nella tua città? Tu in quale giocavi?
A La Plata ce ne sono cinque: La Plata Rugby Club e San Luis, che militano nel Grupo 1, paragonabile alla vostra Eccellenza. Il Club Univeritario de la Plata e Los Tilos che giocano nel Grupo 2 e l’Albatros nel Grupo 3. La mia carriera si è svolta interamente nel Club Universitario, facendo tutta la trafila dal minirugby alla prima squadra. Poi, ho giocato con gli old, che in Argentina si chiamano “veteranos”.

E com’è che sei finito ad allenare in Italia?
Già da giocatore avevo iniziato ad allenare per il mio club. Prima il minirugby, poi le giovanili, e infine collaborando anche con la formazione Senior.
Nel 2011, con l’Under19, siamo partiti per fare un tour in Europa. Siamo stati in Francia, Inghilterra e anche in Italia. Abbiamo giocato a Roma e la città mi è piaciuta così tanto che ho deciso di inviare il mio curriculum ad alcune società della capitale. Qualche mese dopo mi ha chiamato la Primavera Roma.
Ho iniziato allenando saltuariamente la Under14; l’anno successivo sono stato il terzo allenatore della Under12 e nella scorsa stagione mi hanno chiesto di diventare il Coach della Senior. Il resto della storia la conosci.

Quindi sei in Italia da tre anni. Quanto ti manca la tua terra?
Abbastanza. Adesso sono due anni che non vado e un po’ di nostalgia ce l’ho. Sarei dovuto andare in giugno ma poi ho deciso di venire a Ragusa e il viaggio mi è saltato. Per fortuna i miei figli vengono a trovarmi abbastanza spesso, anche se, in realtà, più che per me vengono per girare l’Italia e l’Europa (ride, ndr).

Guillermo, nei giorni di allenamento arrivi al campo con almeno un’ora di anticipo rispetto all’inizio della seduta e in quell’ora ti organizzi il lavoro che andrai a fare. Spesso ti vedo con le cuffiette alle orecchie. Che cosa ascolti?
Musica; soprattutto musica italiana. In questo momento Jovanotti e Vasco Rossi. E poi un po’ di Alessandra Amoroso e di Giorgia. Mi piace anche Arriverà, la canzone che cantano i Modà con Emma. E naturalmente Laura Pausini, che conoscevo già da quando stavo in Argentina.

E invece com’è il tuo rapporto con il tango?
Non mi piace tanto. Non lo ascolto e non lo ballo.

L’ultimo film che hai visto? L’ultimo libro che hai letto?
Andare al cinema mi piace molto, ma è tanto che non vado, e non ricordo nemmeno che cosa ho visto l’ultima volta. Invece l’ultimo libro che ho letto… sono due: il Codice da Vinci e Ama il tuo nemico, il romanzo di John Carlin da cui Clint Eastwood ha tratto il film Invictus.

Che altri sport ti piacciono?
Seguo poco gli altri sport. Ogni tanto guardo la Formula Uno ma quando, come lo scorso anno, c’è un pilota che domina nettamente, non seguo nemmeno la gara. Mi piace anche un po’ la MotoGP e sono un tifoso di Valentino Rossi.

E il calcio? Hai visto la finale dei mondiali?
Sì e no, nel senso che non l’ho seguita tutta perché ogni tanto cambiavo canale. Era dura vederla. Però il calcio, in generale, non lo guardo. Non ce la faccio. È un mondo che non mi piace. Non mi piace, ad esempio, la mancanza di rispetto che c’è nei confronti degli arbitri.

C’è una squadra italiana di rugby per cui tifi?
Claro que sì, il Padua!

E no, il Padua non vale… Dimmi allora come ti trovi a Ragusa e se hai un piatto ragusano che ti piace in particolar modo.
Sì, Ragusa mi piace, è una cittadina tranquilla. Quanto al cibo, non ho ancora assaggiato nulla di tipico, a parte la birra (ride, ndr). Anche perché frequentando il team manager Ciccio Schininà non faccio altro che bere birra: prima dell’allenamento, birra; dopo l’allenamento, birra; se si va in giro, è ancora birra. È come se l’acqua non esistesse! Ciccio mi ha anche fatto assaggiare la carne di cavallo, ma non mi è piaciuta, è troppo dolciastra. Preferisco la carne argentina.

Guillermo, i piatti sono vuoti e la birra è finita da un pezzo. Prima di lasciarci, dimmi cosa vuoi fare da grande?
Non lo so… prima devo diventare grande, poi vedo (ride, ndr). A parte gli scherzi, mi piacerebbe continuare a vivere tranquillo. Mi diverto a fare quello che sto facendo, perché dovrei fare altro?

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