Domenica la squadra che alleno e per cui gioco, la Rugby Roma 2000, si è imposta sui Bisonti, squadra della casa circondariale di Frosinone, per 34 a 12.

Risultato importante, maturato nella ripresa grazie a un ottimo secondo tempo, dopo che la prima parte di gara era terminata in pareggio con il punteggio di 12 a 12 e due mete per parte.

Incredibilmente però, la partita e il risultato diventano solo una piccola parte della giornata di rugby vissuta nel carcere.

Prima di Domenica, la mia esperienza sul progetto del rugby nelle carceri si basava sui racconti di Antonio Falda, attraverso le righe del suo libro e le parole che ci siamo scambiati nei vari incontri e anche ai racconti dei miei ragazzi dopo la gara di andata, a cui non avevo potuto partecipare.

Sinceramente, non sapevo cosa aspettarmi. La tensione si univa alla curiosità rendendo l’attesa elettrizzante e allo stesso tempo preoccupante, perché sarei entrato per la prima volta in un penitenziario e avrei avuto, per la prima volta nella vita, un contatto diretto con un galeotto, e a questo non ero per niente preparato.

Durante la settimana di avvicinamento alla gara ho parlato tanto ai ragazzi, cercando di stemperare una tensione prepartita che, in realtà, era molto più mia.

Il tutto nasceva dall’incapacità personale di scindere il giocatore dalla persona, come se nel mio immaginario il giocatore di rugby, o il rugbista, sia un essere puro, in grado solo di compiere buone azioni.

La mia preoccupazione cominciava a scemare con il passare del tempo.

Il giovedì, poi, all’incontro per la presentazione del libro di Antonio presso il museo criminologico di Roma, ho avuto la fortuna di incontrare Germana De Angelis, presidentessa dei Bisonti e Lorenzo, giocatore esterno e volontario nel progetto del carcere di Frosinone, con cui ho scambiato qualche battuta.

Passato anche l’ultimo allenamento pre gara, arriva finalmente il giorno della partita.

Arrivati all’interno del penitenziario, dopo aver parcheggiato, entriamo uno alla volta ascoltando le raccomandazioni degli agenti della polizia penitenziaria.

Tutto e nuovo e particolare. I miei occhi cercano di catturare il più possibile.

La più grande sensazione è data dalle grate e dalle reti che rendono ogni spazio chiuso. Ci spogliamo e usciamo a vedere il campo, poi arrivano i Bisonti.

Resto subito sorpreso. Un gesto: semplice, unico, ma comune a tutti i giocatori. Un sorriso.

Appena usciti all’aria aperta, nel breve tragitto che porta al campo, i miei avversari sorridono, come avessero già vinto la partita. Poi il fischio dell’arbitro, davanti a me, solo avversari, niente altro.

La partita è combattuta per 50 minuti poi la Rugby Roma 2000 sale in cattedra e porta a casa il risultato sperato. Triplice fischio, saluto in cerchio perché “è solo per noi” e tutto torna alla “normalità”, con i giocatori avversari che rientrano per tornare in cella.

Solo allora mi accorgo di aver giocato un’intera partita con un agente di guardia sulla torretta. Rientriamo negli spogliatoi, dietro di noi la porta si chiude a chiave.

Questa esperienza è stata molto di più di una partita di rugby.

Una cosa è certa, quando escono da quella porta e vanno in campo, come dice il loro grido pre gara: I Bisonti sono liberi.

@minchiamedeo

Bisonti rugby