L’Italia è un paese di allenatori. Nel rugby, come nel calcio, basket, palla tamburello, briscola eccetera eccetera, tutti siamo allenatori. Così dopo ogni formazione scelta e resa pubblica da un qualsiasi head coach della nazionale italiana di rugby, nel corso degli ultimi anni, noi italiani reagiamo così:

– “ah, quando c’era Dominguez”;
– “ai miei tempi si giocava per la maglia, mica per apparire in televisione”;
– “mmm, sta squadra è troppo giovane”;
– “e anche per questa edizione del Sei Nazioni, mi guarderà Happy Days in streaming;
– “tanto ci arriva il solito affare di legno”;
– “perché, c’è il Sei Nazioni?”;
– “e poi la Georgia ci starebbe in sto torneo. Noi? Dobbiamo farci da parte”;
– “ma Stoica che fina ha fatto?”;
– “Dai cazzo, finalmente hanno lasciato a casa Pez”;
– “In ogni caso siamo Parisse dipendenti”;
– “Ma i due Bergamasco? Lasciati a casa? Solito allenatore inutile”;
– “Che poi Kirwan sulla panchina dell’Italia non si può sentire, mai un cambiamento”;
– “Menandri, Boccaletto, Russotto…quella sì che era una prima linea. Anche oggi romperebbe le schiene a tutti”;
– “Che poi sto rugby ha rotto”;

Tutti, sottoscritto compreso, almeno una volta abbiamo reagito in questa maniera. Però davanti alle ultime scelte di O’Shea, almeno per quanto mi riguarda sono rimasto piacevolmente soddisfatto. Perché? Semplice, ha confermato un gruppo con cui ha iniziato questa avventura azzurra. Ha lasciato trasparire di volersela giocare a viso aperto questa gara contro il Galles. Inoltre nomi come Ghiraldini, Minto, Allan e, soprattutto, Campagnaro in panchina possono realmente cambiare il volto della gara, una volta in campo, in particolare se riusciamo a giocare da Italia e rimanere in partita per almeno 60 minuti.