Ho avuto la fortuna di incontrare Massimiliano Verdino, fotografo, giornalista e antropologo, presso la libreria “La Cura” di Roseto degli Abruzzi, per la presentazione del suo libro fotografico “Inside Rugby” (Federico Motta editore, €55), opera dedicata interamente al rugby.

Buongiorno Massimiliano, grazie per la disponibilità. Questo libro si differenzia da altri volumi fotografici sul rugby per l’accostamento artistico delle immagini a delle opere di grandi artisti. Come ti è venuta questa idea, e come è maturata?

Ci sono arrivato attraverso lo studio del materiale che ho prodotto negli anni. Quando è maturata l’idea lavoravo per i quotidiani e avevo la necessità di produrre delle immagini che fossero contestualizzate all’evento per poterle vendere, ma avendo avuto una formazione visiva data anche da altri sport, notavo una tensione particolare, che nell’introduzione definisco “tensione verso l’assoluto”, ossia la ricerca da parte dell’atleta di un qualcosa che va oltre la meta, qualcosa di legato allo spazio in cui veniva svolta l’azione e all’interazione con l’altro.

Così è nata l’idea della ricerca di equilibrio tra i corpi, l’oggetto (la palla ovale) e lo spazio circostante. La maturazione è avvenuta mentre ero a Firenze a vedere una mostra di Michelangelo. Appena ho visto “La battaglia dei centauri” ho pensato che rappresentasse perfettamente una mischia. L’immagine ha poi il potere di lavorare in un ambito subliminale quindi si è sviluppata dentro di me questa consapevolezza. Poi le cose maturano, vanno via e ritornano. Ho seguito l’Italia durante tutti i sei nazioni, al mondiale, collezionando tantissime immagini e ho sviluppato questo progetto in quasi dieci anni grazie all’aiuto della casa editrice (Federico Motta) che ha creduto nel progetto.

Cosa differenzia un semplice scatto di gioco da una foto presente in Inside Rugby? Come è avvenuta la scelta delle foto?

La scelta è stata fondamentalmente espressiva. Mi sono concesso il lusso di scegliere le foto secondo me più belle, grazie anche al contributo di Katia Stefanucci, la mia compagna, che mi ha aiutato nella selezione e nella sequenza. E’ stato un momento di grande gratificazione, ho scelto le immagini che, a mio parere, davano senso al titolo. Inside Rugby è un titolo non scelto a caso. La speranza è di far entrare gli appassionati all’interno del mondo del rugby, che è una cosa a parte, rendendolo intimo.

Il progetto, poi, termina con un lavoro in studio con i fratelli Bergamasco. In particolare Mauro è molto espressivo da un punto di vista emotivo, agonistico, anche la sua carriera lo dimostra essendo al quinto mondiale, uomo simbolo dell’Italia del rugby.

Con Mirco, invece, ho voluto fare l’analogia con il David di Michelangelo per riconoscenza alla nazionale Italiana, come fosse David che sfida il Golia del rugby ossia le nazionali più forti, magari perdendo, ma con orgoglio e forza.

Nella sezione “locker room” racconti tanti anni di rugby attraverso gli scatti all’interno dello spogliatoio. Guardando queste immagini ci si rende conto che il rugby è cambiato con il passare del tempo. Nell’introduzione tu definisci l’era del rugby e del post rugby, dove siamo ora?

Mi ricordo che parlai con George Coste, che conoscevo bene, per poter fotografare i giocatori negli spogliatoti. Mi disse di non essere d’accordo, ma lasciò la scelta al capitano Giovannelli. Ho avuto la fortuna di trovarmi all’interno degli spogliatoi poco prima dell’inizio delle partite, con la discrezione più assoluta per non disturbare i giocatori, per avere la possibilità di raccontare ciò che avveniva. Non ho usato flash, non ho usato attrezzature particolari, solo l’essenziale, come fossi a teatro. Ti rendi subito contro di essere in un ambiente sacro. Dominguez che si taglia le unghie, Giovannelli che si fa il paradenti con il bollitore portato da casa

C’è stata una grande evoluzione di questo sport anche negli spogliatoi, penso alle fasciature, o al fatto che ora sulle pareti ci sono i logo degli sponsor. Siamo ora in un momento in cui cambiando le regole, le attrezzature, i fisici, ma il rugby in campo rimane lo stesso. E’ cambiata anche la comunicazione intorno al rugby, oggi è molto più seguito.

Attraverso questo volume traspare la volontà di trasmettere non solo la cultura del rugby ma anche il rugby come cultura. In che modo pensi questo sia possibile?

La disciplina del rugby si basa sulla cultura.

Un filosofo olandese, Johan Huizinga, ha scritto un saggio dal titolo Homo Ludens, nel quale parla proprio di questo equivoco, lo sport come conseguenza del gioco, ma il gioco stesso ha senso in un gruppo di regole.

Nasce prima lo sport e poi la cultura, perchè un bambino inizia a giocare e poi vengono inserite all’interno le regole e questo viene esaltato nel rugby.

Il rugby ha una sua cultura, come ogni comunità che si basa su regole e valori importanti.

C’è stato o c’è un giocatore che ti ha trasmesso di più rispetto ad altri?

Se ne dicessi uno farei torto a tanti altri. Poi dal punto di vista estetico vieni preso da cose che esulano dal giocatore in se.

Penso a Jenkins, l’ apertura del Galles che si costruiva la piazzola con la terra come fosse un operaio; Dominguez, con cui mi lega il rapporto di affetto, pensando alla sua mania nell’allenamento; Wilkinson, per la sua capacità di prendere spazi; O’Driscoll per la sua potenza, sembrava un ghepardo.

Tra poco inizieranno i mondiali in Inghilterra, come vedi la nostra nazionale?

Male, sono molto franco.

Abbiamo pochi ricambi, tanti giocatori sopra i cento caps. Con tutto il rispetto per loro, ma a quel livello devi avere spesso ricambi giovani.

Poi, la sorpresa è sempre dietro l’angolo, come la vittoria in Scozia nel sei nazioni. Certo iniziare con la Francia non sarà facile.

 

Valerio Amodeo

 

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