Sabato si è disputata la partita tra Italia e Nuova Zelanda. Gli All Blacks hanno meritatamente vinto per 68 a 10. Certo non è questa la notizia né lo spunto necessario per effettuare le giuste considerazioni, ma l’incontro nel suo intero svolgimento e la conferenza stampa post partita hanno un grande significato e mi hanno spinto verso questa analisi.

La prima cosa che mi ha piacevolmente colpito dell’Italia è l’ambiente nuovamente sereno e disteso, in particolar modo tra giocatori e staff. Durante la conferenza stampa si è notata una particolare empatia tra O’Shea e il capitano della nazionale Sergio Parisse, tra sguardi e dichiarazioni che non erano di semplice circostanza, ma fatte da chi crede veramente a ciò che sta dicendo, in controtendenza con quello che avveniva con Brunel, specialmente nell’ultimo periodo. Il numero 8 azzurro ha ribadito come l’approccio del nuovo tecnico irlandese sia incredibilmente positivo e stimolante e che la sua proposta sia stata accolta con entusiasmo da tutta la squadra.

La dimostrazione alle parole di Parisse l’ha data il campo. Certo, non nel risultato, ma nell’atteggiamento tenuto dai giocatori durante gli ottanta minuti che hanno svolto esattamente il lavoro richiesto dal tecnico, puntando sulla necessità di sapersi gestire per tutta la durata del match senza rischiare di dare tutto nel primo tempo per poi subire in maniera incondizionata l’assalto dei tutti neri ( vedi, ad esempio, l’approccio di Canna alla partita, che ha usato molto il piede alla continua ricerca della metà campo avversaria).

Questo fa ben sperare per il futuro, anche se rimane ovvia la distanza siderale che c’è tra noi e le squadre top del panorama rugbistico mondiale, motivo per cui il test di Sabato prossimo col Sud Africa sarà davvero interessante, considerando sia la potenza della squadra africana sia il diverso modo di giocare e di intendere il rugby rispetto alla Nuova Zelanda.

Gli All Blacks, invece, hanno dimostrato, ancora una volta, di essere la squadra più forte al mondo, grazie a un lavoro che va ben oltre il semplice allenamento. Per dovere di informazione, l’azione della prima meta è stata più volte provata dai giocatori negli allenamenti precedenti al match e anche l’uso del piede, spesso impiegato dai nostri avversari come sostituto del passaggio era assolutamente organizzato e preparato per la partita, considerando l’attitudine della difesa azzurra.

Altra importante valutazione va fatta sui giocatori che sono scesi in campo. Qualche tifoso e qualche addetto ai lavori, appena nominati i 23 neozelandesi aveva parlato di una Nuova Zelanda fatta di seconde scelte, qualcuno addirittura aveva accusato i Blacks di snobbare la partita perché talmente facile da non richiedere l’uso dei più forti.

Sinceramente, letta la formazione ho pensato alla necessità, da parte di Hansen, di provare qualche giocatore. Ho posto questa domanda ad un giornalista neozelandese in trasferta per il match. La risposta è stata chiara: finito il mondiale nasce la necessità di trovare alternative e inserire gradualmente nuovi giocatori, per capire quali saranno poi i protagonisti della prossima world cup. Questa cosa avviene ciclicamente e mi ha fatto notare come alcuni dei titolari di oggi erano le “seconde scelte” di ieri, ossia i giovani che venivano inseriti nei vari test match per rigenerare con continuità la rosa.

Un’ ultima analisi per far capire perché, gli All Blacks, sono i più forti. Durante la conferenza stampa è stato chiesto a Sam Cane come è stata l’esperienza di essere per la prima volta capitano e indossare la maglia n 7 (che prima indossava Richie Mccaw, tra i più forti giocatori di tutti i tempi) e se aveva subito la pressione durante il match.

La sua risposta? “Sono quattro anni che aspetto questo momento”, segno che in questo periodo il 24enne giocatore dei Chiefs ha lavorato con questo obiettivo nella testa. E non è poco.

@valeamodeo

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