Si è scritto e detto tantissimo sulla storica vittoria dell’Italrugby sul Sudafrica: dal miracolo all’impresa, dalla storia alla botta di culo.

Escluderei subito quest’ultima: basta aver visto la partita per sapere che no, non è stata una botta di culo. Basta anche conoscere il rugby per sapere che il campo molto difficilmente mente e che alla fine, anche se si vince per un episodio, raramente è una menzogna. Cosa che, comunque, sabato non è successa: non è stato un episodio a decidere la partita.

Un miracolo neanche: l’Italia ha vinto giocando meglio di un Sudafrica che, non è un mistero, da qualche tempo a questa parte ha dei grossi problemi ed è enormemente sotto pressione (il rugby in RSA va parametrato più col nostro calcio che con il rugby, dal punto di vista del seguito, dell’attenzione mediatica, etc. Quindi questa sconfitta, che ne segue altre, da loro è come una serie di partite brutte e perse dalla nostra nazionale di pallone). Un miracolo sarebbe stato se l’Italia avesse battuto gli All Blacks, ma non lo è l’aver battuto questo Sudafrica. Fermo restando che, come detto sopra per la botta di culo, di miracoli nel rugby non se ne vedono: chi vince vince perché in quella partita se lo merita. Sempre parlando di Sudafrica, l’ultima partita che aveva fatto gridare al miracolo era stata la sconfitta degli Springboks contro il Giappone al mondiale 2015, ma basta guardare quella partita per capire che non è stato un miracolo neanche quello, perché il Giappone ha meritato di vincerla.

Restano impresa e storia, e direi che qui sì che ci siamo.

Storia molto semplicemente perché è la prima volta che l’Italia batte il Sudafrica, quindi sì, il risultato di sabato è per definizione storico: “storia” da manuale.

“Impresa” di certo fotografa benissimo la portata di quel che è successo. Partendo anche solo dai freddi numeri, l’Italia è arrivata alla partita di Firenze da numero 13 del ranking mondiale e il Sudafrica da numero 4 quindi, anche se uno di rugby non ne sa, può già iniziare a capire che qualcosa di non scontato è stato fatto. Il ranking azzurro è figlio dei tanti problemi del nostro rugby nell’arco di ormai un bel po’ di anni, e della conseguente infinita serie di sconfitte più o meno onorevoli (parola e concetto che ormai ha nauseato tutti gli appassionati italici di rugby): non è un mistero che ci siano tante cose che non funzionano, che ci siano milioni di problemi e di cose che andrebbero sistemate nei campionati nazionali, nelle franchigie e nella formazione dei giocatori. Per questo, “impresa” non deve diventare “visto? Va tutto bene!”, perché no, non va tutto bene, e l’impresa lo è doppiamente anche per questo.

L’impresa urla che nel rugby italiano c’è tanto di buono, nonostante tutto, e dovrebbe servire non da tappeto per nascondere la polvere ma da stimolo per passare dall’imbuto alla piramide e costruirne tante in futuro di imprese, che poi ad un certo punto non saranno più imprese ma standard o quasi.

Le lacrime e l’emozione assoluta di tanti tifosi, allo stadio o sul divano di casa, parlano di una passione genuina, vera e forte, parlano di una sofferenza vera davanti a troppe sconfitte e a troppi problemi, parlano di dolore vero davanti ad un rugby italiano e ad un popolo del rugby che spesso appaiono maltrattati invece che valorizzati e curati.

Osservatori esterni si domandano ad ogni partita come sia possibile che la nazionale di rugby, nonostante la mole di sconfitte, la miseria dei campionati nazionali, le poche risorse del movimento sul territorio, la scarsa attenzione mediatica e la diffusione bassa e non omogenea, abbia sempre sorprendenti riscontri di pubblico allo stadio, gridando, qui sì, al miracolo. E lo è: è un miracolo di passione, di vero amore e, per chi lo segue in modo più occasionale, è sfiorare uno sport e un mondo diversi da tutti gli altri.

Italia-Sudafrica: finalmente! Finalmente perché il popolo del rugby italiano, che è veramente un popolo, non numericamente grande e che si sente unito da una passione avvolgente e capita da pochi, spesso bistrattata e anche presa in giro (“oh ma l’Italia di rugby non vince mai?”, “ma davvero lì c’è una squadra di rugby? Non lo sapevo!”, “ma chi te lo fa fare?”) se la meritava questa vittoria: la parte bella del rugby italiano si meritava quest’Impresa, si meritava di non dover, almeno per un giorno, leggere la Gazzetta partendo dal fondo, si meritava lo stupore di amici e parenti che “ho sentito che l’Italia di rugby stavolta ha vinto!”, si meritava l’Impresa in cambio della sua enorme ed incondizionata Passione, si meritava una dichiarazione d’amore ricambiato, travestita da Impresa.

Una rondine non fa primavera e una vittoria, seppur Impresa, non fa una svolta, non fa miracoli, non fa “va tutto bene”. Però resta una Vittoria e ce la meritavamo tutti: è Storia e intanto godiamocela, perché ce la siamo meritata.

Emy Forlani

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