Di Andrea Pelliccia

Rugbisti che divertono, incantano, sorprendono. Rugbisti che fanno la storia.

Rugbisti che si incontrano la domenica per una partitella tra amici, con mogli e figli sulle tribune a fare il tifo e a ripararsi dal freddo. Rugbisti che non fanno la storia. Ma che, spesso, hanno una storia da raccontare.

Come Roberto Vanazzi, ad esempio, giocatore dell’Old Rugby Crema.

Nel rugby la squadra viene prima del singolo. Quindi parliamo prima della squadra.

L’Old Rugby Crema nasce pochi anni fa grazie alla passione di Giovanni Siniscalchi, presidente del Crema Rugby, e di un manipolo di “giovanotti” che considerano la corsa con un pallone ovale sottobraccio una delle dieci cose per cui vale la pena vivere. Tra questi Mario Zaini, con un passato in serie A nei Lyons Piacenza.

Allenamenti con la prima squadra, che milita in Serie C, e partecipazione a tornei “old” prestigiosi, come quello disputato al “Mario Battaglini” di Rovigo nel 2010 (concluso con due vittorie, un pareggio e nessuna meta subita) e l’International Rugby Veteran Event di Praga nel 2011 (terminato al settimo posto su quattordici squadre).

Tra i protagonisti di questi tornei non figura Roberto Vanazzi, alle prese, in quei giorni, con una difficile battaglia contro quello che lui chiama “il bastardo”. Quella battaglia è stata vinta. È Roberto stesso a parlarcene e a raccontarci come l’amore per il rugby non tramonta mai.

E poiché condivide con il sottoscritto l’amore per il rock oltre a quello per il rugby, so che già che capirà e apprezzerà se lo definisco Too Old to Rock ‘n’ Roll: Too Young to Die!

 

Come tornare a giocare a rugby a 40 anni ed essere felici

di Roberto Vanazzi

Ho giocato a rugby molti anni fa, nel momento in cui i mitici anni ’70 cedevano il passo ai più frivoli ’80, quando il professionismo era ben lungi anche solo dall’essere pensato e le partite in bianco e nero avevano la voce pacata di Paolo Rosi. Era stata una di queste, un lontanissimo Petrarca – L’Aquila, che mi aveva fatto conoscere la palla ovale. 15 giganti vestiti di bianco e altri 15 di scuro che se le davano di santa ragione. Non avevo mai visto niente di simile: è stato amore a prima vista. Poco dopo io, bambino sovrappeso e con i piedi troppo scarsi per giocare a calcio, trotterellavo su una campo di rugby della pianura padana.

È stata un’esperienza stupenda: tanti amici, parecchio divertimento, molteplici botte (nel senso di ematomi) e soddisfazioni a non finire. Ricordo ancora le quattro mete che ho marcato durante una partitella di allenamento dell’under, che mi valsero il soprannome di Clive Woodward della Bassa (a dire il vero me lo ero dato da solo) e mi fecero pensare che a breve sarei approdato nel XV titolare della nazionale inglese che aveva appena conquistato il Grande Slam.

Purtroppo il sogno fu interrotto da alcuni impegni improrogabili (leggasi “brutti voti a scuola e genitori poco felici”). Ero disperato e ho giurato a me stesso che questo non era un addio ma un semplice arrivederci.

Da quel momento però, ogni volta che decidevo di ricominciare c’era sempre qualche priorità che me lo impediva. Lo studio: “Torno dopo la maturità”, dicevo, ma poi è arrivata la cartolina per l’anno di militare. “Finita la naja riprendo di sicuro.” Ero convinto. Tre mesi dopo il congedo ho trovato subito lavoro (per fortuna, allora c’era ancora questa possibilità). E poi la fidanzata, che è diventata moglie, e tre bambine.

Nonostante tutto, l’amore per il rugby è rimasto costantemente nel mio cuore, finché……

…. A 43 anni suonati mi sono svegliato una mattina e ho pensato “Adesso sono tranquillo. È giunto il momento di tornare in campo”. Grazie a un amico ho preso contatti con la squadra del Crema Rugby. Pronti, via! Primo allenamento, primo scatto, strappo all’adduttore. Stop! Pomate a chili e metri di fasciature. Come inizio non c’è male, ma non mi sono demoralizzato.

Due settimane più tardi ho ripreso a correre e sono tornato al campo (a tempo di record, a detta del fisioterapista, ma non tenevo più). Allenamento completo, con tanto di partitella con i bravissimi ragazzi della prima squadra. Ruolo trequarti ala. Esperienza bellissima. A un certo punto ho raccolto la palla e fatto un buon passaggio. Ho sentito l’allenatore gridare “Bravo!”. Manco fossi O’Driscoll.

Il campo era un pantano. Sono finito a terra non so quante volte, un paio delle quali mi sono sentito sollevare per poi ritrovarmi con la faccia in una pozzanghera. Maglia e pantaloncini erano fatti di fango. Per fortuna quando sono rientrato a casa mia moglie dormiva.
La mattina seguente i dolori erano (dal basso verso l’alto):

1-caviglia. Conseguenza di un appoggio sbagliato del piede.

2-schiena, ma non molto.

3-mano sinistra

4-spalla destra

5-collo, per uno dei voli di cui sopra. Ho battuto sul terreno un po’ troppo violentemente.

6-testa. Passato dopo 2 aspirine

7-dolori vari a muscoli dei quali non conoscevo l’esistenza.
A chi, vedendomi claudicante, mi domandava: “Lo rifarai?” Rispondevo: “Certo!“.

E così è stato. Dopo due anni mi reco ancora al campo e mi alleno insieme agli amici del Crema Rugby. Neppure il tumore al midollo mi ha fermato. Operato l’agosto scorso, a ottobre ero già a correre con i ragazzi. Il medico, scuotendo la testa, ha infine rinunciato a consigliarmi di stare a riposo.

Il rugby è come una bella donna cui è impossibile resistere.