Autostrada, timido sole in faccia, colorazioni del cielo in rapida evoluzione. Una più bella dell’altra, sia chiaro. Non è sempre dato vederle tutte, vuoi perché la luce non è mai uguale a sé stessa, vuoi perché, per chi scrive, svegliarsi alle 5 non è mai stata un’abitudine. L’A4 è tranquilla, qualche camion appena, pochi tapascioni a 70 all’ora, asfalto deserto. “Ci sarebbe un torneo di beach rugby” mi avevano detto. Rugby union, celo. Seven, celo. Rugby League, mi difendo ma Trapattoni avrebbe da ridire sul mio muro davanti alla porta. Beach Rugby. Manca, tragicamente manca. Visto qualche foto, al massimo un video, sapere le regole è in definitiva un’altra cosa. Ma si va, le cose si imparano così. In breve capisco che non ci sono pali, non ci sono mischie, le mete valgono un punto, 5 per squadra e cambi volanti. Due tempi brevissimi, eventuale sudden death in caso di parità, il vecchio “chi segna vince tutto” del campetto. Regola fondamentale: entro due secondi devi liberarti della palla, altrimenti il possesso passa all’avversario. Non è facile digerire tutto, ma la fase a gironi permette una digestione tranquilla. Dovrebbe essere un torneo a matrice europea, il Beach Rugby 5s di Lignano Sabbiadoro edizione 2017, unica tappa italiana delle EBRA (European Beach Rugby Association) Series ma in lizza per il successo ci sono gli iraniani del Pasargad, di fatto una sorta di nazionale iraniana, ma senza che il proprio Paese abbia mai messo il beneplacito su questa definizione. Ci sono gli Eagles, americani, e i Wild Dogs, sudafricani. Poi i Pacific Islanders, maglia che ricorda quella della nazionale samoana ma con alcuni giocatori di origine francese. I Fiji Warriors, che in quanto a curricula se la giocano alla grande, visto che schierano Viliami Vaki, Paul Griffen e, tra gli altri, Danny Ligairi Badham, già nazionale tongano nel League. Per finire ci sono le compagini europee: Yakha XIII e Ovale Beach Marseille, entrambe francesi, i Flair Bears, inglesi, e il Forum Iulii, squadra di matrice friulana tra le cui fila va menzionato tra gli altri. Sebastiano Folla, ex Rovigo e Nazionale emergenti. Contemporaneamente a livello femminile partecipano sei squadra: due francesi (Ovale Beach e Les Dauphins), due italiane (Ricce e Seppie), le austriache del Donau e le tedesche del Monaco.

I gironi scorrono tranquilli, il sottoscritto comincia a capirci qualcosa: qui non è importante tanto l’avanzamento, quanto il sostegno. L’offload è fondamentale, farlo a regola d’arte serve come il pane. Sono tantissime le skills campionate e assimilate dal Rugby League, soprattutto quando si tratta di passare la palla in poco tempo. Oltre a questo servono angoli di corsa e garretti non indifferenti, visto che la sabbia fa affondare, in tutti i sensi che vi vengono in mente, chi non sa camminarci e/o correrci sopra. A prendere il sopravvento sono le squadre francesi, e non è un mistero. Da tempo, infatti, al di là delle Alpi la Federazione investe non poco nel beach rugby, tanto da portare non solo giocatori, ma anche direttori di gara del rugby union a fare i conti con sabbia, creme e occhiali da sole. È il caso di Laurent Cardona, arbitro del Top 14 che in molti ricordano per un perlomeno affrettato cartellino rosso comminato a Sergio Parisse nel 2013, di scena (in ottima compagnia) a Lignano. A livello di singoli si fa notare su tutte una giocatrice de Les Dolphins, campionesse in carica: vista da fuori è alta, mora, ha lo sguardo languido di Charlotte Casiraghi. Pregate però di non averla come avversaria, perché la garra in campo è quella del miglior Brian O’Driscoll. È praticamente scatenata, sarà la miglior realizzatrice del torneo nonostante un ovale, in finale, le scappi clamorosamente di mano in area di meta. Vincono loro, solamente irretite dalle austriache in finale, incapaci di reggere l’urto alla distanza. Più equilibrato (ma non troppo) il torneo maschile: nei gironi di qualificazione sono gli iraniani a mettersi in luce, con le due squadre francesi sulla carta superiori. E però capita che gli Yakha XIII escano in semifinale contro i Pacific Islanders. Dall’altra parte del tabellone non hanno grossi problemi i ragazzi dell’Ovale Beach Marseille, che in finale patiscono la verve isolana per un tempo. Poi deflagrano, fanno 5 mete e salutano la comitiva. Il trofeo va a loro, con gli Islanders ad esibirsi sotto la tribuna nella Siva Tau samoana e nella Kapa O Pango, made in Nuova Zelanda.

Limitare il torneo ai risultati, però, serve a poco. Perché il torneo è anche tutto il resto: la squadra inglese che chiama a raccolta bambini e adulti per una colossale partita di rugby touch nel primo pomeriggio: i Fijian Warriors che iniziano il loro ultimo match inscenando una rolling maul tra le risate del pubblico. Il sudafricano infortunatosi al ginocchio che rifiuta la barella ed esce, accompagnato, sulle sue gambe. Gli iraniani che dopo ogni partita del girone si girano e salutano in italiano. Il giocatore dei Yakha XIII che si sente male in mattinata, va in ospedale e rientra nel pomeriggio per vedere i suoi compagni arrivare terzi. Il brodo arrivato per sbaglio per il pranzo della domenica. L’aperitivo, la festa. E poi autostrada, timido sole in faccia, colorazioni del cielo in rapida evoluzione. Una più bella dell’altra, sia chiaro. Non è sempre dato vederle tutte, vuoi perché la luce non è mai uguale a sé stessa, vuoi perché inseguire il tramonto ha sempre il suo perché. O vuoi perché, tra amici vecchi e nuovi, grigliate, atlete con la garra di O’Driscoll e tongani grandi grossi e buoni come il pane, imparare regole nuove è compito leggero ed invitante.

No, l’A4 non è la stessa, se torna carichi di buone sensazioni. Nemmeno la tragica sveglia del lunedì, quella degli occhi chiusi ad oltranza. Oggi è tutto più facile. Grazie a tutti, grazie Lignano.