Quest’anno, specialmente in serie C, si sono iscritte diverse squadre cadette e, come spesso accade, altrettante squadre al primo campionato, spesso formate da giocatori con poca esperienza.

Inevitabilmente, gli incontri tra queste due squadre sono spesso impari, con le cadette formate da giocatori esperti, non in grado magari di calcare i campi della serie A o dell’Eccellenza come la prima squadra o da giocatori non convocati nel primo XV che scendono a fare minutaggio, sicuramente ben più bravi dei giocatori di serie c. Il divario che si viene a creare è netto e porta a  risultati delle partite con divari così ampi da far scaturire diverse polemiche.
Bene, a tal proposito, voglio dire la mia e per farlo sono necessarie due premesse.

La prima, importantissima, è che nel mio sport ( il rugby ovviamente) mi hanno sempre insegnato a dare il massimo, considerando quelle che sono le mie potenzialità. Quindi, quando incontro un avversario, devo dare il 100% cercando di vincere con il massimo scarto possibile, senza mai fermarmi. Allo stesso modo, se sono più debole, devo giocare cercando, se non la vittoria, il minor divario possibile, dimostrando di essere all’altezza di un avversario troppo più forte sulla carta.

La seconda premessa è riassumibile in un detto romano, ovvero, “a chi tocca nun se ingrugna”.

Nella mia carriera ho vinto partite con scarti di 100 punti e perso con altrettanto divario. Una delle partite in cui ho sofferto di più è stata quando presi ben 65 punti dall’ Overmach Parma e a farmi buona parte di quelle mete fu l’attuale padrino di mia figlia che non si è mai, giustamente, permesso di rallentare ( e ancora mi sfotte, tra le altre cose).

Questo per dire che può capitare di trovare squadre molto più forti o molto più deboli, ma questo non può essere motivo di reclami da parte di nessuno, anche se si partecipa ad un campionato di serie c2 per puro divertimento.

Il rugby è, e deve sempre essere due squadre che si affrontano a viso aperto producendo il massimo sforzo per trovare la migliore vittoria possibile.

Questo deve valere sempre anche per gli arbitri.

Ebbene si, in questo strano intreccio tra squadre cadette, neofiti e partite impossibili entrano in gioco anche gli arbitri, che da giudici di gara si trasformano in regolatori di ordine usando un codice che va oltre il regolamento di gioco, decidendo in caso di divario quanto una squadra dovesse o potesse sovrastare gli avversari.

Tutto quello che sto per descrivere è successo realmente, in parte visto e sentito con i miei occhi, in parte raccontato attraverso testimonianze oculari.

E’ capitato, in caso di un forte divario tra le due mischie, che un arbitro costringesse la mischia più forte a non spingere, perché sono neofiti e non ci sarebbe partita. Oppure che non vada ad ammonire un giocatore reo del terzo fallo di antigioco consecutivo perché “è la prima volta che gioca e non sa le regole” (per farci una risata, in quel caso, il capitano avversario rispose: “ vero che non le sa, ma se segna la sua meta vale sempre 5 punti”).
Può anche succedere che un arbitro si avvicini al piazzatore dopo una meta e gli dica: “ avete fatto la quarta meta e siamo ancora al primo tempo, adesso comincio a fischiarvi di più contro, altrimenti non c’è partita”.

Con questo non voglio assolutamente accusare la classe arbitrale, ma come invito i tecnici ad allenare i ragazzi senza far nascere polemiche, allo stesso modo invito gli arbitri a comportarsi sempre in maniera adeguata, senza alterare il proprio operato con il rischio di sminuire la propria figura, unica e fondamentale nel nostro sport.

La più grande lezione da questo punto di vista me la diede proprio un direttore di gara, che, anni dopo, sarebbe diventato uno degli arbitri più importanti d’Italia, Giulio De Santis.

In una partita delle giovanili, stavamo stravincendo, e la partita sarebbe poi finita 115 a0. Dopo aver segnato l’ennesima meta, un mio compagno di squadra disse: “ Sembra di giocare Nuova Zelanda contro Congo”. Sentito questo De Santis, si avvicinò, diede calcio di punizione agli avversari e rimproverò il ragazzo reo di aver insultato gli altri giocatori, spiegando che doveva pensare esclusivamente al gioco e a dare il massimo per tutti gli ottanta minuti.

Perché il vero insulto è non dare il massimo, il vero insulto è non allenarsi duramente e trovare alibi dopo una sconfitta o non arbitrare in maniera corretta per non rendere un risultato troppo amaro.
Viviamo il rugby per come è, imparando da ogni cosa che può offrirci, anche la più dura delle sconfitte.

@valeamodeo

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