Leandro Lottici è un pilone. Leandro Lottici è uno scultore. Difficile spiegare chi è Leandro, vista la sua vita intensa fatta di tante esperienze interessanti (potrebbe raccontarti aneddoti per ore e ore lasciandovi a bocca aperta).

Oggi incontriamo Leandro per parlare di rugby e di UpTheDuff, la sua nuova mostra che si inaugura Sabato 10 Giugno alle 18 a Cortona e che sarà aperta al pubblico fino al 2 Luglio, tappa conclusiva di un tour che ha visto protagonisti Leandro e gli altri artisti anche a Londra e Milano.

Ciao Leandro, ome ti sei avvicinato al rugby?
La verità tu la sai Valerio, ma te la racconto di nuovo volentieri. Dopo un grave incidente d’auto al termine delle riabilitazioni, concluse dopo un anno e mezzo di terapia i dottori mi diedero il via libera allo sport mettendo come unico veto il rugby. E quel veto penso di non averlo proprio digerito.

Come nasce invece la passione per l’arte e scultura?
In realtà non è una passione, è un lavoro e ho un approccio lavorativo e metodologico, questo so fare e cerco di farlo al meglio.
Ci sono punti in comune tra l’arte e il rugby e quali?
In generale non lo so, ma nella mia ricerca ci sono sicuramente perchè lo sforzo fisico che ci metto è il medesimo.
Up the duff, un percorso artistico internazionale che ha toccato prima Londra, poi Milano e infine Cortona. Di cosa si tratta esattamente?
Up the duff, è il titolo di questa mostra internazionale itinerante ma è anche un modo di dire londinese per esprimere il termine italiano “incinta” a voler evocare il senso materno con la città come madre, fulcro. Oltre che “incinta” significa anche “pieno”, “colmo”, “ricolmo” con riferimento alla multiculturalità delle metropoli moderne come Londra, Milano e Roma. Un insieme di culture che convivono senza essere consapevoli del fatto che condividono una realtà, nonostante i loro ghetti, le zone dove si tenta di riprendere e conservare le proprie radici, estraniandosi dal contesto urbano e con l’autoreferenzialità come unico appiglio.
Up the Duff  rappresenta un dialogo tra le sculture architettoniche di Rosie Leventon e i miei paesaggi urbani.
Rosie riflette in cinque sculture, le esperienze accumulate dai suoi viaggi in Medio Oriente collegate con la realtà del quartiere londinese di Brent, dove vive e lavora. In questa zona si trova uno dei più alti numeri di minoranze etniche del Regno Unito: vi è, per esempio, il più grande tempio indù al di fuori dell’India.
Io ho invece raffigurato in tre grandi quadri l’essere umano contemporaneo, disperso nel caos frenetico dell’ambiente urbano delle grandi metropoli come Roma, Londra, Milano, Berlino o Napoli.
Ho voluto rappresentare l’idiosincrasia di Roma, la mia città natale, attraverso i miei occhi e le mie esperienze. C’è un’ambiguità costruita appositamente fra i materiali usati e la realtà giustapposti mediante un dialogo dinamico tra opere e spettatore.
 Quale  significato dai tu al termine Up the duff?
Up The Duff come detto sopra significa “incinta”, “pieno”, “ricolmo”, per me è stato proprio come ritrovarmi nel pieno di una sfida, la sfida di confrontarmi con una grande artista che già stimavo moltissimo e la sfida di realizzare dei quadri grandi quasi 2 metri per 3. Poi significa anche tutta l’esperienza che mi ha dato lungo un percorso durato due anni, un percorso impegnativo che mi ha dato moltissimo sia dal punto di vista lavorativo che da quello della vita stessa.
Un tuo desiderio rugbystico e uno da artista
Il mio desiderio rugbystico è di poter accompagnare quest’anno i miei Forastici al Master finale del campionato italiano di beach rugby L.I.B.R., da artista non ho desideri nè sogni, faccio progetti e cerco di portarli a termine e questo mi basta. va
@valeamodeo