Cari Lettori,

è da molto che non scrivo o lo faccio di rado. La situazione critica del nostro paese è entrata anche nella mia casa, come in quella di molti di voi, suppongo, purtroppo. Ma la motivazione non è soltanto questa, è anche la rabbia, l’insoddisfazione nel vedere un servizio giornalistico sempre più scadente, nelle mani di sciacalli irrispettosi del codice deontologico o comunque della morale giornalistica che dovrebbe essere conosciuta da ogni individuo che è intenzionato a svolgere questo mestiere, il giornalista: lavoro arduo, difficile, sfruttato e sottovalutato, il più delle volte. Allora, senza che la mia mente mi desse troppo tempo per pensare, m’ha fatto indietreggiare senza che me ne accorgessi. Ma quando fai a cazzotti con la realtà e le passioni, è difficile prendere una posizione, dal momento che sono sempre stata una fautrice del “se lo si vuole, si può fare quello che serve e quello che piace”. Purtroppo la realtà è crudele e non ti da tempo, nemmeno di organizzarti, di riorganizzare le idee. Ma nonostante volessi impormi una virata per necessità, ho compreso che non posso evitare quello per cui ho lavorato sodo e non posso scaraventare la mia passione per il rugby da una finestra come fosse roba vecchia di cui disfarsi a capodanno, perché di roba vecchia non si tratta.
Con un po’ di coraggio, ho preso la vita a due mani, l’ho stretta un po’ più forte del solito, sono ritornata indietro, ho ripreso la saccoccia con l’ovale e con uno scatto, sto ripercorrendo la mia strada, con l’affanno, senza ottimismo, per ora, ma con i sogni saldi nelle mani, con la voglia di fare, di creare, di inventare e di reinventarmi. La mia vita ormai è un’altra da quando il rugby l’ha invasa prepotentemente e questo non posso cambiarlo e né voglio farlo, ma posso vestirlo di nuova luce, meno mitizzata e più realistica, più concreta e meno illusoria. Se ho avuto il bisogno di rivelare quello che ho scritto è perché questo spazio mi è mancato, perché ho sentito il bisogno di svestirmi un po’ dell’armatura di guerra che ho sempre imbracciato per denunciare i problemi del rugby in tutta Italia. Questa nuova veste mi aiuterà a considerare il rugby da più parti, a riconsiderare altre posizioni per risaltare questa “isola felice”, senza botox, senza troppi paroloni. E allora, eccomi qui, carica di pensieri, di percorsi nuovi, di idee. Per cui, mi sono resa conto che l’ovale non lo si può strappare dalla mente di un giocatore, di un appassionato, di un suo cronista, anche se ciascuno di loro si ritrovasse a fare altro nella vita, introdurrà ogni argomento sempre con un “Ovalmente parlando” e questo, ovviamente, vale anche per me. Sono ritornata. E, dunque, che ovalmente sia!

Un caro ed affettuoso saluto a tutti voi e alla redazione di NPR che mi ha reso parte di nuovo del suo staff. Grazie.

Martina De Biase

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