Di Andrea Pelliccia

Calcio di punizione. Stefano si fece consegnare il pallone, pronto a calciarlo in touche, il più lontano possibile. Will gli si avvicinò. Fece un gesto impercettibile ma inequivocabile. Guardò verso i pali. Stefano capì. Avrebbe dovuto tentare il calcio piazzato nonostante la distanza dai pali fosse quasi proibitiva: più di cinquanta metri. E Will non ammetteva repliche: la sua autorità era quella di un veterano, nonostante avesse solo ventuno anni. Stefano annuì. Si chinò e iniziò a preparare, con la solita meticolosa cura, la piazzola per il tiro. Ammucchiò la terra, la compattò con le mani e vi depose sopra l’ovale. Poi camminò all’indietro. Guardò i pali, calcolò l’angolo e la potenza. Aveva calciato altre volte da così lontano ma mai in una partita così importante, mai davanti a un pubblico così numeroso. Chiuse gli occhi per trovare la concentrazione. Fece un lungo respiro. Silenzio assoluto. Rincorsa, calcio. Pallone alto, parabola perfetta.  Il silenzio assoluto interrotto da un lungo, fragoroso applauso. Il pubblico dell’Arms Park di Cardiff in piedi a salutare la splendida esecuzione del calcio piazzato. Primi tre punti della partita. Primi tre punti segnati da un italiano con la maglia dei Barbarians.

Stefano di cognome fa Bettarello e la partita, la prima giocata da un italiano con la mitica maglia dei Barbarians, fu disputata nell’aprile del 1987 contro Cardiff. Venticinque anni fa.

Will di cognome fa Carling. In quella partita segnò la sua unica meta con la maglia dei Barbarians e l’anno dopo divenne il più giovane capitano della Nazionale Inglese.

Ho scritto questo raccontino per introdurre la rubrica che gli amici di NPR mi hanno concesso di ospitare sul loro sito. I Barbarians sono forse uno dei simboli di un rugby che ha dovuto cambiare faccia con l’avvento del professionismo. La squadra a inviti più famosa del mondo per fortuna ha mantenuto inalterati lo spirito e l’attività, ma oggi deve fare i conti con la pianificazione e le esigenze delle squadre di club. Col risultato che molti giocatori sono costretti a rinunciare alla convocazione dei Barbarians, fatto impensabile fino a qualche anno fa.

Il rugby è cambiato, dunque. Dal non professionismo al professionismo. Ed è proprio di questo che intendo parlare.

Mi piacerebbe farlo non per nostalgia o per rimpianto (io ho giocato tra le fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta) ma per ricordare e per raccontare ai più giovani cosa significava giocare a rugby venti e più anni fa. Magari nelle prossime puntate proverò anche a coinvolgere qualcuno che conosce la storia del rugby meglio di me e a chiedere di raccontare episodi o storie particolari.

Vorrei anche trattare un altro aspetto fondamentale del rugby non professionistico: l’attività degli «old», quei rugbisti che hanno superato i 35 anni e che, quando inseguono un pallone ovale, hanno ancora l’entusiasmo dei quindicenni. Mi piacerebbe utilizzare questa rubrica per divulgare e pubblicizzare quello che fanno gli «old»: iniziative, manifestazioni, tornei, e approfondire  rubrica alla presentazione di una squadra o di un torneo. So bene che ci sono già altri siti web in cui queste informazioni vengono divulgate e diffuse in modo capillare. Questa rubrica vuole essere solo un’ulteriore vetrina. Pertanto invito tutte le associazioni che vogliano parlare delle proprie iniziative a contattarmi all’indirizzo email [email protected].

Per rendere i ricordi più concreti, ogni numero della rubrica conterrà anche una parte visiva dedicata al collezionismo. Saranno presentati libri e riviste, biglietti e programmi di partite storiche. E visto che di quella partita storica abbiamo parlato, vi mostro il programma ufficiale di Cardiff v Barbarians del 1987.