Il Rugby Rovato a settembre festeggia i suoi primi quarant’anni di storia e il giornalista Federico Gervasoni celebra questo traguardo con un libro: “Sulle ali del condor: quarant’anni di Rugby Rovato”. Prefazione di Gianluca Barca.

26 giugno 1976. Fu Elvio Simonato a far scattare la scintilla della passione ovale in Franciacorta, a Rovato. Era quella un’epoca di rivalità, certo, fra le squadre della provincia, ma anche di grande condivisione e di amicizie. Dal Brescia, negli anni immediatamente successivi alla nascita del nuovo club, arrivarono al Rovato Gigi Mondini e poi David Cornwall, il giocatore che più ha influenzato il rugby bresciano per almeno un ventennio: Brescia, Calvisano e Rovato sono le squadre che tra la metà degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta il gallese ha toccato e ispirato. Il rugby di quell’epoca era così: contaminazione per contatto, frequentazione e scambio. Di competenze e conoscenze. Ci si spostava per ambizione, amicizia, desiderio di provare strade nuove. Era un rugby di relazioni di vicinato, simpatie e buna volontà, molto diverso da quello di adesso. Rovato beneficiava della sua naturale apertura verso l’esterno, della capacità di Fausto Pagani e Angelo Bonotti di tessere rapporti e incontri, Il paese era favorito dalla logistica: il treno, l’autostrada. Rovato era dietro l’angolo per tutti.

Questa capacità di fare rete, come si dice oggi, ma allora la “rete” non esisteva, non nell’accezione attuale, semplicemente si diceva “essere amici”, è stato a lungo un tratto caratteristico del club. La cui forza di penetrazione con gli anni si è spinta fino nell’emisfero Sud, quando da Samoa, dalla Nuova Zelanda e dalle Fiji arrivarono Matt Vaea, Frank Bunce, Boyd Gillespie, “Tuts” Vodo, Rima Wakarua.

Paradossalmente gli anni più difficili per il Rovato sono stati quelli in cui dopo essersi spinto in acque troppo lontane (Leonessa e dintorni) ha finito per perdere gran parte di quelle radici locali dalle quali è poi ripartito in anni più recenti, tornando a recuperare la sua identità di territorio, con la formazione delle nuove generazioni, l’attenzione al vivaio, l’accademia U18 etc.

Da un certo punto di vista la storia di Rovato è di quelle tipiche del nostro rugby, con tutti gli ingredienti che ne hanno decretato il successo e qualche momentanea frenata: una straordinaria voglia di condivisione, spirito di gruppo, abnegazione, competenza e tanta, tanta buona volontà, quella che emerge nella capacità di essere una delle società più ospitali e benvolute dell’intero panorama nazionale.

Da Rovato sono passati giocatori che hanno irrorato il movimento non solo a livello locale, dirigenti accorti e tanti amici. In questo il club si è rivelato straordinariamente competente e lungimirante: in Franciacorta sono approdati tecnici che hanno vissuto e vivono il rugby sui più importanti palcoscenici nazionali, l’ultimo Vincent Etcheto ha portato di recente il Bayonne in Top14, ma anche Philippe Doussy, ora a Grenoble, era stato giocatore e allenatore della squadra. Anche Rovato ha sofferto di vertigini, quando le ambizioni l’hanno spinto troppo in alto. Ma questo è un peccato veniale per chi da quarant’anni attraversa il rugby essendo quasi sempre riuscito a farlo col sorriso sulle labbra. La forza del Rovato è che chiunque lo abbia frequentato, da giocatore, da tecnico, da cronista, da appassionato, sulle sue tribune e nella sua club house si è sentito sempre a casa.

E non c’è modo migliore per godersi questo anniversario con la promozione in Serie B conquistata lo scorso 1 maggio.

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