Durante il Mondiale U20 2015, mentre stavo, oppressa da caldo e mosche e con mille cose da fare e da sbrogliare, nella biglietteria dello stadio San Michele di Calvisano, un conoscente di passaggio mi disse tipo “ah ma sei anche qui! Ma non ti pagano? Ma chi te lo fa fare?”. A parte che gli avrei messo le dita negli occhi, mi sono resa conto che forse, in effetti, dal di fuori, non sembra avere tanto senso l’investire soldi, tempo, ferie e fatica per fare il volontario FIR. Ma solo dal di fuori e se si ha una visione delle cose un po’ ristretta e “asciutta”, perchè, invece, chi il volontario lo fa ed anche chi di rugby (di rugby: non di Federazione, non solo di Italia, ma di RUGBY) è appassionato o, in generale, è appassionato della vita e di esperienze, di emozioni, di amicizia e di momenti, lo sa perché si fa.

I miei “caps” non li ho più contati: cinque interi 6 Nazioni, un bel po’ di test match e un “mondialino”. Ogni volta si dorme poco, si sta allo stadio giornate intere, si vede il villaggio del terzo tempo solo di striscio e quando ancora lo stanno allestendo (al mattino presto) e poi quando ormai tanta gente se ne è già andata (un paio d’ore almeno dopo la fine della partita), si cerca di salutare gli amici che sono nel pubblico ma non ci si riesce praticamente mai. Il mio esordio è stato per Italia-Inghilterra 2012, la partita “della neve”: sopravvissuta a quella e a 13 ore di Olimpico (9-22), non mi poteva spaventare più niente!

“Ma chi te lo fa fare?”. E poi vedi le facce di tutti i volontari, che dopo un po’ tante sono sempre le stesse, come una grande famigliona, che arrivano da ogni angolo d’Italia, con anche delle vere acrobazie logistiche e, anche a loro, chi glielo fa fare? Vedi orgoglio, vedi passione, vedi voglia di rendersi utili per qualcosa che ci piace e di partecipare all’evento, alla partita, non solo dalla tribuna.

“Ma chi te lo fa fare?”. E a Torino mi trovo una ragazza arrivata dalla Svizzera, a Roma trovi gente che arriva anche dalla Sicilia, trovi volontari che per risparmiare vanno e tornano in giornata anche da lontano. Poi vedi le foto sul gruppo facebook dei Volontari FIR, i gruppi dei vari settori, ognuno fierissimo del suo “comparto”, tutti sorridenti e orgogliosi: quelli del centro volontari, noi dei media, quelli dell’assistenza al pubblico “curva sud: i migliori!”, “curva nord” ci siamo!”.

“Ma chi te lo fa fare?”. Alla mia prima partita, quella della neve, ho conosciuto una ragazza anche lei alla prima esperienza da volontaria e finita nella giornata più delirante della storia: prima partita dell’Italrugby all’Olimpico, prima partita nostra da volontarie, neve. Una piccoletta di Bassano del Grappa arrivata con gli amaretti da sgranocchiare. L’amicizia nata allora e cresciuta di partita in partita dura ancora e questa piccola grande donna nel frattempo si è trasferita su un’isoletta e per venire a fare la volontaria e rivedere amiche e amici si sobbarca dei viaggi che farebbe prima ad arrivare in Australia, ma non si chiede mai chi glielo fa fare, perché lo sa.

Se scorro le mie amicizie, sia mentalmente che attraverso facebook, mi accorgo di quante siano legate al rugby, agli ormai diversi anni di frequentazione di questo ambiente, sia come club che come volontaria che come “comunicatrice”. Alcune sono semplici conoscenze, altre sono diventate vere amicizie, altre ancora dei veri e propri tesori, nonostante la distanza variabile che ci separa.

“Ma chi te lo fa fare?”. Succede che a Roma (ma non solo) si approfitti dei week end con la partita per vedere questi amici ovali provenienti da ovunque, che non sono solo volontari, organizzare cene, aperitivi, partecipare ad eventi vari, sempre a sfondo ovale, ed ogni volta è come se fosse passata una settimana dalla volta precedente: si sta insieme, si chiacchiera, di tutto e non solo di rugby, ma si sa che se si parla di rugby ci si capisce e nessuno ti guarda come un alieno (cosa che capita invece spesso nel “mondo reale”, perché ovunque puoi attaccare un discorso sul pallone ma, se apri bocca sul rugby, almeno 9 su 10 dei tuoi interlocutori ti guardano come se stessi dicendo che la terra è piatta). E ti senti nel posto giusto, ovunque tu sia. Ed è grandioso.

“Ma chi te lo fa fare?”. Te lo fa fare la Passione, per il rugby e per la vita, per il vivere esperienze e persone. E, forse, te lo fa fare anche un senso in qualche modo di riconoscenza verso il rugby, per quello che ti dà ogni giorno, per quanto riempie la tua vita. La riempie anche di imprecazioni, ma lo ami lo stesso e non ti chiedi “ma chi me lo fa fare?” ma “ma gli altri lo sanno cosa si perdono?”.

Emy Forlani

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