Di Claudia Cavaliere

La squadra azzurra di wheelchair rugby ha finalmente fatto il suo esordio ufficiale al torneo di Lignano che si è disputato dal 18 al 20 novembre scorso e da quel torneo ha il suo Capitano: un Capitano che arriva dagli sport individuali e che è stato uno dei promotori di questo sport in Italia.  Un “signor” capitano, lo possiamo proprio dire, perché si tratta di un Campione che è uno dei vanti dello sport italiano: Alvise De Vidi. Un Capitano la cui carriera sportiva è talmente straordinaria che lo ha portato ad essere premiato dal CONI fra i 12 migliori atleti del secolo accanto a nomi come Dino Zoff, Agostino Abbagnale, Sara Simeoni, Nino Benvenuti, Domenico Fioravanti. Alle Paraolimpiadi di Sidney del 2000 ha vinto tre medaglie d’oro per l’Italia: negli 800 metri, nei 1500 e nella maratona, maratona che ha vinto anche alle Paraolimpiadi di Atene, in un’impresa davvero storica, come può essere vincere una maratona proprio ad Atene. Ma tutta la sua carriera è costellata di medaglie e riconoscimenti. Solo per citare le medaglie paralimpiche sono 13 di cui sette d’oro in sport diversi: nuoto e atletica.
Dopo essersi dedicato anche nel tennistavolo si è dedicato al wheelchair rugby:
questo sport, davvero affascinante, questo rugby che si gioca con un pallone non ovale ma rotondo ma che è, da buon rugby spirito di squadra, sostegno, avanzamento, sinergia. Per giocare il Wheelchair rugby si dev’essere veloci e occorrono capacità di decision making visione del particolare e del globale, disciplina, capacità tecniche e tattiche, intelligenza agonistica ed emotiva. Sport nel quale non si può mai peccare di presunzione… tutte caratteristiche che Alvise possiede tra le sue doti personali e che da Campione ha certamente affinato e affina costantemente nel corso della sua splendida carriera che attualmente alterna l’atletica al rugby.
Facciamoci raccontare da lui qualcosa su questa esperienza.
Alvise, prima di parlare di rugby sai che questa domanda è d’obbligo. Sei un campione straordinario e quando ti si presenta in un articolo si rischia sempre di dire cose già dette. Chi è Alvise De Vidi?
“Un ragazzo, ormai uomo, che ha conosciuto la vita sotto molti aspetti. Dai più duri e aspri a quelli più esaltanti ed emozionanti. Lo sport è stato lo strumento principe che mi ha permesso di fare questo percorso, che mi ha permesso di crescere e di maturare come individuo”.
Dallo sport individuale allo sport di squadra, dimostrando ancora una volta, in uno sport completamente diverso, le tue capacità tecniche, mentali, umane e la tua capacità di trascinare le persone.  Cosa hai provato entrando in campo come capitano della nazionale azzurra?
“Ad esser sinceri un secondo per me, me lo sono preso prima di cominciare questa nuova avventura. E’ stata un’emozione intensa per il debutto in questo sport forte e deciso con in più la fascia di capitano, che dà prestigio ma anche responsabilità e doveri. Ho guardato i miei compagni e tra me e me mi sono detto “ questa è la squadra italiana di wheelchair rugby, tu sei importante per loro e loro sono importanti per te, siamo un gruppo.  Insomma anche se la mia carriera mi ha fatto vivere molti momenti di emozioni intense, questo debutto rimarrà inciso nei ricordi più belli e preziosi”.
Da essere responsabile di te stesso ad assumere la responsabilità della squadra. Com’è stato il passaggio?
“Questo cambiamento di responsabilità è stato un passaggio, credo più personale che di ruolo. In altre parole, anni fa non avrei accettato, mi sarei tenuto lontano dal prendermi le responsabilità del gruppo. Ma adesso credo di avere non solo la maturità ma anche l’esperienza per gestire questa nuova veste, veste che è stata scelta da tutti i giocatori della squadra e anche per questo aspetto fondamentale non ho detto di no e ho accettato volentieri il nuovo incarico. Sono molto fiero dei giocatori del giovane team di wheelchair rugby”.
Perché proprio il wheelchair rugby? Vedendolo giocare si direbbe: perché è molto divertente, dinamico e perché è uno sport che unisce doti fisiche a doti mentali. Ci racconti questo sport dal tuo punto di vista di Capitano della squadra azzurra?
“Proprio perché unisce molti aspetti, di abilità fisiche e mentali, ma anche caratteriali. Ci si diverte, molto, ma per giocare bene bisogna mettere in campo concentrazione unita alla forza e alla rapidità, alla destrezza con il mezzo da gioco, l’intelligenza nel leggere le situazioni sempre diverse che si creano in partita e la conoscenza profonda del gioco e delle sue regole. Una disciplina molto completa e pure complessa che però dà a chi la pratica risorse ed energie nuove anche per la vita quotidiana.”
Testa, fisico, mezzi. Cosa conta di più?
“direi che l’ordine è già corretto. La testa prima di tutto, che come sempre comanda le nostre azioni in ogni contesto. Poi il fisico, perchè il wheelchair rugby è uno sport molto dinamico con la necessità di molte doti atletiche e di un’ottima preparazione fisica. E per ultimo metterei il mezzo, le carrozzine da wheelchair rugby sono particolari e avere il mezzo giusto e più adeguato alle proprie caratteristiche permette di essere più efficaci e competitivi”.
Da Capitano quali sono le caratteristiche che ti piacciono di più nei tuoi giocatori e che vorresti sempre vedere in campo.
“La volontà di migliorarsi, la determinazione per raggiungere un obiettivo, la coesione con i compagni di squadra, la concentrazione nei momenti di gioco e allenamento e il rispetto per gli avversari e per gli arbitri. Cose ovvie, ma sempre importanti e fondamentali, e da ricordare sempre”.
L’esperienza del gruppo della nazionale, nato in veneto potrebbe fare da modello alla nascita di altre realtà? Da dove cominceresti dovendo partire da zero?
“Sicuramente l’esperienza maturata in veneto e aggiungerei in Friuli Venezia Giulia, è un’ esperienza che a mio giudizio potrebbe già essere matura per fare da esempio a territori interessati all’avviamento del wheelchair rugby.  Oramai il gruppo che si è formato ha appreso le caratteristiche fondamentali del gioco e potrebbe trasmetterle a un gruppo di ragazzi interessati a provare questa disciplina. Incomincerei da questo, dal trovare un gruppo nutrito di ragazzi tetraplegici vogliosi di salire su di una carrozzina da wheelchair rugby e provare l’ebrezza del gioco, della gestione della palla, mentre la squadra avversaria fa di tutto per levartela”.
Cosa diresti a chi pensa di cominciare con questo fantastico sport?
“Di provarci, di non aver paura delle difficoltà, che ci sono, come per esempio i costi delle carrozzine o un numero sufficiente di atleti per dar vita ad una squadra. Di non spaventarsi e provare, perché poi sarà l’entusiasmo a trascinare tutti e tutto. Bisogna però crederci.”
Quali sono gli obiettivi e i prossimi passi di questo progetto?
“Come squadra il prossimo obiettivo sarà il torneo di Colonia in marzo/aprile 2012.Come progetto, l’obiettivo è la diffusione di questo sogno in altre realtà, fuori dal triveneto, magari in Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Lazio, queste potrebbero essere le prossime regioni dove far nascere un gruppo di giovani giocatori. Trovare nuovi ragazzi da far entrare in questo sogno, che solo un anno fa vedeva la luce e che ora incomincia a vivere di luce propria, certo ancora debole, ma che in pochi anni, ne sono sicuro, potrà essere splendente nel nostro movimento”.
Portare altri ragazzi in questo sogno… mi sembra un messaggio che racchiude davvero tutto!
Credo che un Campione si possa definire tale solo quando è capace di trasferire la sua esperienza e il suo spessore umano agli altri……e allora la nazionale di wheelchair rugby….può contare veramente su un grande Capitano!