Questo fine settimana ho avuto la fortuna di essere a Roma, per il Sei Nazioni di rugby. A prescindere dalla vittoria sulla Scozia, che ha dimostrato ancora una volta che questa squadra ha cuore e voglia di affermarsi, vorrei soffermarmi sul “contorno”: quell’ onda azzurra, fatta di rugbisti, ex giocatori e semplici appassionati che, appena la Nazionale è in odor di partita, si muove per sostenerla. Sono sinceramente stufo di sentir parlare e scrivere di “sport minore”, perché dopo questo fine settimana ovale, il rugby ha davvero dimostrato di poter competere anche a livello mediatico, con qualunque altro sport. Personalmente, poi, io sono uno che le partite se le è sempre guardate dal divano di casa, per cui viverla così, in prima persona, mi ha davvero colpito. Che il rugby fosse speciale, lo sapevo, avendolo vissuto in prima persona per molti anni, ma vedere così tanta gente letteralmente “pazza” per l’Italia, proprio non me l’aspettavo. È stato bellissimo per un giorno essere circondato da amanti del rugby a 360°, da persone che l’hanno scoperto magari troppo tardi per viverlo in campo, ma lo amano come se non avessero mai “vissuto” altro sport. Ho visto “terzi tempi” organizzati in aiuole spartitraffico, veneti arrivati nella capitale con il camper, mangiare salame e formaggio dalle 9 del mattino, offrendolo ai passanti. Ho visto bambini correre e giocare, passandosi una palla ovale, famiglie intere avvolte dalla bandiera italiana, scozzesi sconfitti ridere e scherzare con italiani (per una volta vincenti). Sostanzialmente, però, ho visto uno stadio del Calcio interamente riempito da rugbisti, da tifosi del rugby e cantare l’inno assieme a 73.000 persone è stato decisamente diverso…