Di Martina De Biase

Articolo di novembre 2011 pubblicato su “L’Ambasciatore”

 Non sono qui per parlarvi di un argomento usuale di cui parlano tutti, tipo il calcio, per esempio. Diciamoci la verità: chi mai può essere interessato oggi al rugby? Qualcuno saprà che da qualche settimana si sono conclusi i mondiali di rugby in Nuova Zelanda con vincitrice la stessa nazione ospitante chiamata anche col nome All Blacks? Ho qualche dubbio in merito. Immagino che voi sappiate che il pallone da rugby è ovale e non sferico come quello da calcio. Che l’Italia sia un paese religiosamente calciofilo nel D.N.A. non è una novità, bensì è assurdo che non ci sia nel nostro paese una “laicità” o considerazione verso chi fa una cosa che è fuori dal comune, un po’ come pregare ad Allah a Roma. Sì, perché chi gioca a rugby è un po’ come se non credesse alla Chiesa Cattolica e che predica una fede in netta minoranza e probabilmente nemmeno riconosciuta dallo Stato. Eppure, se esistono anche altri sport minori, perché parlare proprio di rugby? Si parla di rugby perché, oltre ad essere lo sport di squadra per eccellenza , è uno sport che ha in seno dei valori encomiabili che potrebbero tornare utili per vivere meglio la quotidianità. Una leggenda attribuisce a William Webb Ellis, uno studente della scuola di Rugby, l’invenzione dell’omonimo gioco. Nel 1823, in occasione di una partita di football giocato con regole ancora non standardizzate, Ellis raccolse la palla con le mani ed iniziò a correre verso la linea di fondo campo avversaria. Da quell’episodio dal valore rivoluzionario si fa partire la storia di questo sport  che oggi annovera quasi 100nazioni, tra le quali l’Italia. L’Italia conosce meglio il rugby tra il 1993 e il 1999 grazie alle imprese di George Coste, ex allenatore della nazionale italiana rugby. In Campania, invece, esistono circa 25 società rugbistiche, ognuna con la sua storia. Il rugby è uno sport in cui la costante del gioco è il contatto fisico. Per questo motivo da molti è visto come uno sport violento, ma in realtà in quelle azioni così “aggressive”(che aggressive non sono) si cela tanta disciplina e rispetto per l’avversario. Tali valori sono appoggiati e rispettati da tutti quelli che sono attorno a questo sport, inclusa la tribuna, onorando quindi i vinti ancor di più dei vincitori, cosa che purtroppo non è possibile nel nostro benamato calcio. I ragazzi, che scelgono di dedicarsi a questa disciplina, fanno della propria vita una perenne palla ovale, anche quando non si trovano all’interno del rettangolo di gioco. C’è da dire che non è uno sport per tutti, pertanto è sconsigliato ai deboli di cuore poiché il campo si tramuta in una  “guerra pacifica” dove si scontrano 30 ragazzi che per difendere a tutti i costi quella palla che rappresenta una parte di loro stessi, la tengono serrata al proprio corpo nonostante la “pioggia di dolore” che arriva dai colpi. Nel rugby ognuno ha un ruolo ben specifico e i giocatori vengono scelti soprattutto in base alla struttura fisica. Ma va detta una cosa:  ogni squadra di rugby che si rispetti deve essere coesa, una macchina di giocatori assemblata come un’unica massa corporea. Quello che fa da collante a tutto questo è il cuore, il bene fraterno tra i compagni, la voglia di lottare tutti insieme per un solo obiettivo: la meta( corrisponde al goal nel calcio)! Anche se non si dispone di Bronzi di Riace, la grinta e la passione, che mettono a tacere la paura, si ammassano come montagne su corpi quasi esili che, nonostante non superano 1,70cm circa, permette loro di affrontare uomini che sono il doppio di massa corporea. Non saranno dei cloni di Maciste, ma hanno una forza d’animo che è di gran lunga più forte di una montagna di muscoli ed è questa una delle principali caratteristiche di questo sport. “Noi appassionati del rugby ,diversi e un po’ sfigati come può esserlo in Italia chi non ama il calcio…È un peccato perché il rugby ha le stesse capacità mitopoietiche del calcio e, come il calcio, permette di interpretare il mondo…Qualsiasi partita di rugby è una partita di calcio che va fuori di testa…Voglio dire che il rugby è spesso raccontato con una retorica che lo rende irriconoscibile. Ai molti che non ne conoscono le regole appare la sfrenatezza di un regime psichico primitivo segnata dai gesti di ragazzotti saturi di irrequieto testosterone… Il rugby – la comprensione del gioco, della sua nervatura, del suo spirito e consuetudine – spiegano, come meglio non si potrebbe, il deficit del carattere italiano e le debolezze del nostro stare insieme. Ecco perché a noi del rugby piace pensare che questo gioco così estraneo all’identità nazionale possa offrire, felicemente, un esempio per riformarla.” ( cit. Giuseppe D’Avanzo)

Sempre, Comunque e Nonostante tutto: W il Rugby!

Questo articolo è dedicato a Giuseppe D’Avanzo, giornalista ed ex rugbista, che ci ha lasciato prematuramente nello scorso 30 Luglio. A lui va il mio saluto.