Quant’è vero… noi allenatori siamo fondamentali per una squadra di rugby, tanto nel bene quanto nel male: “è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare”. Sfiderei, però, chiunque di voi ad affrontare quasi quotidianamente 22 giocatori di rugby. E sia chiaro, non sto parlando di feste, terzi tempi o simili: io mi riferisco ad allenare una squadra, a creare da un “gruppo” ibrido, un “gruppo” amalgamato, coeso e affiatato. A trovare quel “qualcosa” per cui tutti sono disposti a sacrificarsi e poi, solo poi, togliersi le soddisfazioni sul campo.
I grandi trofei li vincono i giocatori certo, ma anch’ “io”, da dietro le quinte li muovo e li consiglio. Certo l’estro del singolo fa vincere le partite, ma è il “XV” che si ricorda (a mio parere), anche perché il singolo se non è  messo nella condizione di “creare” dai compagni, non va da nessuna parte.  Potrei parlare per ore del mio ruolo, ma non sono qui per questo: mi sento chiamato in causa per tentare di dare una breve descrizione di quello a cui, un allenatore, va incontro tutte le volte che scende in campo, per allenare. Ogni singolo ruolo ha un suo carattere ben definito:

I piloni: ah, che categoria! Sono tanto disposti a sacrificarsi e prendere le botte per gli altri, quanto  difficili da smuovere dentro e fuori dal campo. Far capire ad una prima linea che anche correre fa bene è, senza ombra di dubbio, una delle imprese più difficili. Per non parlare poi del Terzo Tempo…sono sempre costretto a limitare le loro “scorribande gastronomiche”, un momento durissimo da affrontare.

Mansueti, ma decisi e coriacei.

Il tallonatore: serio e riflessivo – caparbio, estroso e deciso. Tutto questo devo riuscire ad ottenerlo da un’unica persona…fate voi…

Riflessivo e determinato.

Le seconde Linee: provate voi a far diventare partecipativi e attenti delle persone che, normalmente, amano la tranquillità e il silenzio. Loro, lassù, vivono in un altro mondo. Una volta che però si sentono coinvolti, è difficile trovare delle persone più fondamentali per l’equilibrio del gioco, durante una partita.

Taciturne e disposte al lavoro.

I flanker – 6 e 7: provate voi a far stare tranquilli delle “trottole”. Così li definisco io, loro voglio correre, impattare, placcare, sostenere, segnare: tutto questo senza un ordine preciso ed è proprio li che devo intervenire io.

Atletici e caotici.

Il numero 8: uno dei pochi ruoli con cui lavorare è sempre un piacere. Sono tanto consapevoli della propria “bravura”, quanto disponibili al lavoro, ad aiutare gli altri e al sacrificio. Da sempre faccio affidamento sulla “terza linea centro” per costruire il mio team ideale.

Serio e totalizzante.

Il mediano di mischia: genio e sregolatezza. Posso dargli le “chiavi” di gioco, ma contemporaneamente trovare il modo di controllare il suo comportamento esuberante e creativo.

Genio e sregolatezza.

Il mediano d’apertura: avere lampi di genio nel rugby, può anche essere considerato “facile”, ma metterli a disposizione della squadra è il difficile. Ed è li che devo intervenire io. L’apertura è il cervello, quello che deve rimanere lucido per tutti gli ottanta minuti. Il grande problema è insegnarli che oltre al calcio e al passaggio esistono anche la difesa e il passaggio…

Artista dell’attacco.

I centri: di norma ho sempre avuto a che fare con coriacei numeri 12 e creativi numeri 13: la grande difficoltà è stata trovare il punto di equilibrio tra queste due peculiarità. Una volta raggiunto, loro si muovo di pari passo tanto in difesa quanto in attacco, lo stesso capita fuori dal campo…

La coppia che scoppia.

Le ali: una parte fondamentale della squadra. Con la loro velocità e la loro capacità di evitare il contatto giocando negli spazi, possono chiudere una partita in un attimo. Il grosso problema è fargli capire che devono mettersi a disposizione del collettivo e non giocare per loro stesse.

“Esteti e sregolatezza”.

L’estremo: personalmente il giocatore di cui mi fido di più e l’ultimo baluardo difensivo e l’uomo in più in attacco. Tanto folle quanto equilibrato…

L’ultimo baluardo.

È un mio personale punto di vista, di un semplice uomo che ha deciso di allenare per vivere e vivere per allenare.

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