«Fu un sollievo ascoltare il suono della sveglia, i pensieri e i sogni erano stati difficili e tumultuosi per tutto il breve periodo in cui ero riuscito a prendere sonno. Ma il bello doveva ancora venire. Come ogni volta prima di una partita, la routine fu normale: breve doccia, controllo della borsa (per controllare se c’era tutto, sono sempre stato abilissimo a dimenticare delle cose fondamentali), indossato la tuta e la polo e via verso la colazione. I pochi amici che incontrai lungo i corridoi dell’albergo, erano tutti silenziosi e pensierosi (più del solito almeno) perché già erano entrati nell’ottica di dover affrontare, di li a poche ore, la Nuova Zelanda. Io, invece, me ne resi conto solo in ascensore e la tensione mi arrivò tutta d’un colpo addosso. La colazione si svolse in un clima piuttosto tranquillo, i camerieri ci facevano l’”in bocca al lupo” e i pochi ospiti ci guardavano compiaciuti. Per noi diciottenni alla prima vera esperienza nel “rugby che conta”, fu già un grandissimo successo, il ricevere qualche piccola attenzione. I preparativi si svolsero in un silenzio surreale, tutti erano pronti e preparati e nessuno aveva qualcosa fuori posto. Usciti dall’Hotel, ognuno sistemò la borsa in corriera, appese il vestito ad una gruccia e si sistemo al solito posto. I più accesero il lettore mp3, nel tentativo di distrarsi un po’, altri iniziarono a guardare fuori dal finestrino, qualcosa di non ben identificato, il capitano chiacchierò serio con gli allenatori, mentre io… scrissi: decisi di annotare le sensazioni e quello che mi passava per la testa in quel momento (a distanza di anni, quel gesto allora apparentemente strano, mi permette di rivivere la sensazione ogni volta che inizio a leggere quel foglietto). Man mano che la corriera si avvicinava allo stadio, la situazione cambiò un po’, quella che per noi era una delle partite più importanti della nostra carriera giovanile, per gli altri era un momento di definitivo avvicinamento al rugby, di festa. Notai molte famiglie, amici, gruppi di anziani…insomma c’era di tutto, del resto guardare gli All Blacks, anche se under 19, non capitava tutti i giorni. Figuriamoci giocarci contro poi…

Arrivati nel mitico “Plebiscito di Padova”, tutto mi parse più grande e mastodontico, la tensione iniziò a farsi sentire davvero. Trovata la borsa, incrociai gli occhi di mio padre che mi osservava poco lontano (decisamente compiaciuto)…abbozzai un sorriso, ma nascondere la paura fu davvero difficile. Il corridoio verso lo spogliatoio mi sembrò lunghissimo, una volta sistemate le mie cose, mi diressi assieme alla squadra a controllare le condizioni del campo. Arrivati sul terreno di gioco compresi cosa stavamo andando a fare, stavo per scendere in campo in una delle partite più importanti della mia carriera. Guardai gli spalti che si stavano lentamente riempiendo, i fotografi che iniziavano a scattare foto, qualche giornalista che fermava gli allenatori per una breve dichiarazione e io per pochi attimi mi sentii davvero in difficoltà…Pochi istanti dopo però, guardandomi attorno vidi che attorno a me c’erano 22 amici, con i quali ero cresciuto e avevo condiviso tutto: dalle prime battaglie, alle prime vittorie, alle più piccole frivolezze. Mi ricordai che anni prima ci dissero che i Mondiali giocati in casa erano un’opportunità e che riuscire ad arrivarci avvrebbe comportato tanto lavoro e tanti sacrifici…e io assieme a loro c’ero riuscito. Per cui la paura passò di colpo e quella che prima era tensione si tramutò, in un colpo solo, in voglia di scendere in campo e giocare. Perché eravamo pur sempre l’Italia e stavamo per scontrarci contro un’icona del rugby…gli All Blacks…

Continua…