La vita di uno sportivo, a qualsiasi livello, è fatta di momenti indimenticabili e pre-partita interminabili. Chiacchierando con un ex giocatore, mi hanno colpito le sue parole nel descrivere la nottata prima di un’ Italia – All Blacks under 19 e l’entrata allo stadio. Sono state talmente coinvolgenti che non potevo non rifletterci sopra.

«Alla consegna delle maglie dire che ero teso era poco, c’era un silenzio quasi innaturale. Nessuno fiatava: i romani non parlavano e avevano lo sguardo fisso nel vuoto, i veneti guardavano per terra o si tenevano la testa fra le mani, i friulani erano come sempre silenziosi, distaccati e gli emiliani erano seduti in fondo alla piccola saletta, quasi invisibili. Una volta entrati gli allenatori, il clima non è cambiato di molto, anzi…hanno iniziato con il solito discorso sulle responsabilità e sul fatto che quella partita ce l’eravamo guadagnata sul campo, battendo l’Irlanda. Che il giorno dopo avremmo avuto gli occhi di tutti i rugbisti e non addosso, per cui dovevamo essere concentrati e determinati. Anche loro lasciavano trasparire un’insolita tensione, ma dall’alto della loro esperienza erano bravi a nasconderla. Lentamente, poi, uno ad uno siamo stati chiamati a ritirare la maglia: dal ventiduesimo giocatore, fino alla prima linea. Mai per quello che ricordo ho visto i miei compagni di squadra, così tesi e concentrati. Una volta finita la consegna, siamo tutti rimasti per un attimo bloccati sulle sedie, quasi in trance. Poi lentamente tutti abbiamo iniziato alzarci e a riprendere apparentemente a vivere una serata “normale”. Ricordo che la maggior parte dei giocatori ha iniziato a chiamare casa o le fidanzate di allora, nel tentativo di distrarsi un po’. Altri si sono seduti sui divanetti della hall dell’albergo e si sono dati alla lettura dei giornali, altri ancora sono usciti a fare due passi. Io ricordo rimasi seduto sui divanetti a pensare, feci due chiacchiere con il preparatore atletico (che tentò invano di tranquillizzarmi) e poi nulla. Fu una serata anomala, in pochi mangiarono e in pochi parlarono: il dopo cena lo dedicammo ad un’approfondita analisi video, incentrata sulla fase offensiva dei neozelandesi. Eravamo consapevoli di dover dare almeno il 250% per riuscire a fermarli e con questo pensiero ci avviammo in camera. Io rimasi seduto in terrazza per un bel po’ a pensare a come sarebbe stato guardare negli occhi dei Maori durante l’Haka. Solo molto dopo mi accorsi che in quasi tutte le terrazze dell’albergo c’era qualcuno che tentava di distrarsi facendo qualcosa, qualsiasi cosa: chi lucidava le scarpe, chi ascoltava musica, chi stava appoggiato al balcone e basta. La nottata fu un continuo rigirarsi nel letto, io non dormii quasi per nulla, la passai a pensare. Troppe le sensazioni e i pensieri che mi passavano per la testa, troppa la tensione per potersi lasciar andare ad un sonno ristoratore. Questo però riuscì a portarmi via attorno alle 3.30 del mattino (ricordo ancora l’ora precisa) e mi accudì fino al momento in cui suono il telefono. Erano le 7.30…del giorno in cui avremmo dovuto affrontato gli All Blacks…» Continua…