Come non menzionare almeno una volta la figura del preparatore atletico: una presenza che si muove furtiva e silenziosa per il campo, ma che è di fondamentale importanza per la corretta gestione di una squadra. Di norma sono delle personcine a modo, che sanno il fatto loro e, quando gli viene data la possibilità, sono in grado di mettere al tappeto 30 rugbisti in poco meno di cinque minuti. Ai miei tempi questa “amena figura” era semplicemente un sadico sanguinario che, al grido di facciamo un po’ di fiato ci faceva correre per distanze interminabili, sotto ogni genere di perturbazione atmosferica (anzi più era brutto, più lui era compiaciuto).
Ma entriamo nello specifico, descrivendo le categorie in cui i preparatori atletici si dividono, almeno dal mio punto di vista.

“Il tranquillone”: è quel genere di persona che fuori “dall’ambiente lavorativo” è amico di tutti, esce con i giocatori e sembra quasi un giocatore lui stesso. Peccato che, appena “imboccato il fischietto”, diventi un tiranno: un giusto mix di cattiveria e violenza. Di solito esordisce con un “fartlek” di un’ora – un’ora e quarantacinque e poi continua con navette a tutto campo.

“Lo smemorato”: tutto e il contrario di tutto. Di norma super organizzato, pianifica gli allenamenti di mese in mese…ma poi si dimentica sempre qualche cosa e ripiega sulla tanto amata navetta, oppure su qualche circuito aerobico.

“L’innovatore”: sempre aggiornato sui metodi più tecnologici e innovativi di preparazione atletica mondiale. Di solito rinchiude la squadra in palestra e crea “ad hoc” un circuito aerobico, che aiuta a fare fiato ed esplosività. Dopo 1.45H di allenamento la metà della squadra ha visto almeno quattro volte San Gennaro, per chi ci crede, oppure Lomu fare a maglia appoggiato ad una panca (per chi non crede).

Il “ai miei tempi si faceva così”: squat completo con traliccio di vite sulle spalle e almeno 15 ripetizioni sui 600 metri, contro vento e con i pesetti da palestra legati ai polsi.

Il “sarà mica il tempo a fermarci”: da il meglio di se sotto la pioggia o la neve, preferibilmente se si corre in entrambi i casi contro vento. La sessione di riscaldamento dura più o meno 2H e serve, a detta sua, per rompere il fiato…più che il fiato però, sono i muscoli a risentirne veramente. La sera stessa nessuno esce, non per la mancata voglia, ma perché è bloccato o in macchina (non risce a scendere) oppure sul divano di casa (non riesce ad alzarsi), i più sfortunati rimangono bloccati alla base delle scale di casa e dormono abbracciati al borsone d’allenamento.

Il “lavoriamo sodo ora, che poi ce la godiamo”: non è mai così ed è un discorso che viene fatto di solito in ritiro. Quegli ameni tre giorni in cui ti succede di tutto, dalle corse mattutine in salita, alle corse serali in salita, alle corse pomeridiane in salita, alle corse notturne in salita. Si passa poi ai percorsi per “fare fiato”: una serie di circuiti in cui oltre a correre, passare, placcare sacconi, si salta, si fanno flessioni e quant’altro. La conclusione poi è di solito un bel bagno in un fiume ghiacciato, per riattivare la circolazione, quando però ai più servirebbe un defribillatore per riattivare il cuore, oppure delle gambe nuove di zecca. Ah “il poi ce la godiamo” è una frase di rito, perché il resto dell’anno assomiglia al ritiro.

“Il vi ricordo che martedì c’è atletica”: è quel genere di preparatore che si identifica più come uno stratega. Infatti capita sempre che in quel martedì tutti abbiano morti improvvise, debbano partorire, abbiano il funerale della nonna (che muore ogni anno almeno 25 volte), debbano laurearsi, sposarsi e chi ne ha più ne metta. Peccato che di solito l’allenamento atletico era già preventivamente spostato al mercoledì, così da avere tutti a disposizione…per un oretta di gradoni. Un allegro Sali scendi dai gradoni di uno stadio, che ti porta a fine allenamento a non riuscire nemmeno a schiacciare la frizione della macchina.

Continua…