Di Davide Macor

Oggi facciamo due chiacchiere con Paolo Paoletti, un istituzione per chi il rugby lo consoce davvero. Parliamo di un tallonatore frascatano, che ha vestito la maglia della nazionale italiana per ben 20 volte dal 1972 al 1976, che ha vinto uno scudetto a Brescia nel 1974 e che, a fine carriera, è diventato arbitro esercitando la professione per ben 10 anni (per chi volesse approfondire, può trovare tutte le notizie qui).

Mi piacerebbe sapere in che cosa, secondo te, si dovrebbe puntare in maniera decisa e diretta per rinnovare il panorama ovale e dove la Federazione ha sbagliato  in tutti questi anni, se di errori possiamo parlare.

Allora, in tutta onestà e siccome mi ritengo una persona seria, non ho molte cose da dirti perchè devi sapere che sono rientrato nella famiglia rugbystica solo da quattro anni in coincidenza con la scelta dei miei figli di diventare arbitri. Per divergenze con l’allora presidente degli arbitri De Laude 20 anni fa chiusi definitivamente con il rugby, mio malgrado, in quanto mi ritenevo elemento prezioso per la FIR a livello arbitrale. Dopo la carriera di atleta azzurro, infatti, visto anche gli investimenti fatti su di me da parte della FIR, decisi di intraprendere la carriera arbitrale, che durò per circa dieci anni.. Posso dirti però che tutte le persone della politica federale da me lasciate vent’ anni fa sono ancora sedute nelle loro poltrone in Federazione, quindi li considero VECCHI e un rinnovamento è inevitabile e fondamentale per il bene di questo sport. Come e dove investire per cambiare il futuro di questo sport…destinerei, a scapito del 6 Nazioni che non ci compete, i denari alle società per farle crescere e investirei concretamente sul discorso pedagogico didattico nelle scuole. Come è accaduto in Sud Africa, nei Paesi britannici e in Australia e tutti possiamo vedere il sempre costante e assoluto ricambio generazionale che queste nazioni hanno, stagione dopo stagione.

Per quanto riguarda, invece, il mondo del rugby non professionistico, la fantomatica serie C? Cosa ne pensa?

Solo da quest’anno ho conosciuto la realtà delle società di serie C, ho da subito notato che hanno voglia di fare e migliorarsi. Bisogna dare loro il massimo supporto! Sono per un rugby al massimo semiprofessionistico, con società che aiutino poi i loro giocatori a realizzarsi nelle vita, aiutandoli a trovare magari una occupazione che gli garantisca di poter lavorare e giocare nello stesso tempo. Avere un qualcosa in mano a fine attività è fondamentale. La Francia è cresciuta negli anni 50/60 grazie a questo, ad esempio.

Il rugby è uno sport e parlo per esperienza vissuta, che quando finisci o ti fai male sei… fregato! Non ti conosce più nessuno e devi ripartire letteralmente da zero!

Un grazie a Paolo per il tempo che ci ha dedicato e per gli spunti di riflessione che ci ha offerto.