Megan vuole fare due passi, bisogna accompagnarla fuori. Le piace l’aria di Coventry, soprattutto in quel periodo dell’anno in cui il cenone di Natale è alle spalle, ma non del tutto, e il veglione di San Silvestro è ancora alle porte. Le piace il freddo, nonostante a 14 anni la salute non sia ormai più un’opinione o un qualcosa da prendere sottogamba.

Per un cane cominciano ad essere una discreta cifra, 14 anni.

Megan sente la brezza che avvolge Coventry, le piace.

Le piace un po’ meno la suoneria del suo padrone.

Vorrebbe lo spegnesse, ogni tanto, quel telefono.

E dire che negli ultimi mesi era andata bene, era quasi sempre a casa, in relax, ormai in pensione.

Aveva trovato persino il tempo di farsi un trapiantino al cuoio capelluto. Finalmente! Dimostrava 15 anni di più di quelli che si porta dietro regolarmente.

Dicono che certi animali “fiutino” certe situazioni molto prima di noi esseri umani.

Il padrone ha appena detto “Mi stai prendendo in giro?” a qualcuno.

Megan però sa che non ci sono prese in giro nell’aria, e sa pure che il compagno di passeggiate per un po’ chiederà il cambio. Brontola un po’, poi si rassegna.

Perché il suo padrone ha trovato lavoro. Per 3 mesi.

E allora Megan va lasciata per un po’ a respirare l’aria di Coventry.

Il suo proprietario tornerà, noi nel frattempo ci facciamo un giretto con lui.

Il suo padrone si chiama Andy Goode, ha quasi 36 anni e questa è la sua storia. Una storia in cui non sono ammessi addominali a tartaruga o bicipiti strappa-magliette. Né bibite proteiche o diete. Solo tanto rugby, tanto piede, tanta birra e un bel po’ di sana pazzia.

Perché bisogna essere pazzi ad accettare proposte del genere.

Si, perché dall’altra parte del cellulare c’era Dean Richards, director of rugby dei Newcastle Falcons, club di Premiership che a dire che se la sta passando male vuol dire che agli eufemismi non c’è mai fine. Una sola vittoria in campionato, ultimi a 5 punti dalla squadra più vicina, i London Irish.

E ora con due mediani d’apertura rotti.

Uno è Mike Delany, neozelandese. Era il numero 10 titolare nell’epica sfida degli All Blacks agli azzurri a San Siro, quella in cui l’arbitro si dimenticò che nel regolamento c’era una particolare sanzione chiamata “meta tecnica”. L’altro è Craig Willis, un ragazzo dell’Accademia.

E cosa fa Richards? Fa acquisti a destra e a manca?

No, fa di meglio: regala una seconda chance ad un giocatore già ritirato.

Andy Goode, appunto.

Che non è proprio un carneade, perché se guardate nella classifica dei marcatori più prolifici di tutti i tempi in Premiership è al secondo posto, dietro solo a Charlie Hodgson.

Più di 2200 punti.

E a questo sommate una stagione in Championship (la seconda serie) con i Worcester Warriors, nella quale arriverà una sola sconfitta e il titolo di miglior marcatore della stagione.

Aggiungeteci pure tre stagioni a Brive e altri 300 e passa punti.

E pure una puntatina nel Super Rugby, agli Sharks, chiamato a sostituire “El Mago” Hernandez.

Solo che a settembre 2015 Goode si è ritirato. Ha provato la preparazione con i London Irish, con i quali aveva firmato un contratto annuale, ma non ne aveva più.

Può anche essere comprensibile, dopo 15 anni e rotti ad altissimo livello e con 97 kg di peso “forma” sul groppone.

Già, perché quella di Goode non può essere considerata tecnicamente una vita da atleta.

Gli piace la birra, gli piacciono i dolci. Fisicamente, con quella pancia bella arrotondata e quei capelli irriducibilmente lunghi nonostante una stempiatura infame, sembra più il vostro (e nostro) compagno di bevute al pub. Anche se sembra gli piaccia la Corona, che è come se ad un friulano piacesse il Tavernello, e allora al bancone del bar lo guardate un po’ storto. Uno che il rugby lo guarda, che al limite gioca con gli amici quando termina l’orario di lavoro o la domenica coi figli giusto per dar loro il contentino.

E invece in Premiership lo hanno cercato in tanti, nonostante un fisico da domatore di vongole.

E anche in Nazionale ha fatto il suo, nonostante una concorrenza spietata nel ruolo e nonostante i puristi inglesi abbiano sempre storto il naso davanti a quelle rotondità.

Perché quella visione di gioco lì, al mondo, ce l’hanno avuta in pochi. Quella capacità di sapere sempre cosa fare, come farlo e dove farlo appartiene ad un élite ancora più ristretta. E poi perché quando decide di usare il piede la palla va dove vuole lui, sempre e comunque. Guardatevi per un attimo, se riuscite a trovarla, la meta che ci segna nel Sei Nazioni 2009: ai 5 metri calcia un grubber insidiosissimo. Davanti ha gente come Bergamasco, Robertson e altri che in velocità lo lascerebbero lì. Eppure lui sa benissimo dove e come il pallone rimbalzerà, e quella meta la segna.

Pitagora con gli scarpini e con due mani di seta.

Una delle due, di solito, trattiene un boccale.

E quanto può piacere uno così ai tifosi?

Sparate pure alto.

Richards sa benissimo che Goode può salvargli stagione e posto di lavoro, nonostante il “peso forma” sia lievitato a 105 kg. Gli propone un contratto di tre mesi, giusto il tempo di recuperare Delany. Andy nicchia, non è sicuro. “Eh ma ho 35 anni, mia figlia, la famiglia…”. Richards gli fa avere un autista che 4 volte a settimana lo porta a Heathrow. Poi aereo fino a Newcastle e ritorno entro le 14,30. Andy si consulta con la moglie e accetta.

A dire il vero è la moglie a crederci di più. Lo manda persino a corricchiare per le strade di Coventry per farsi trovare un po’ più preparato. Ma il clima partita è un’altra cosa: Goode debutta in un match di A-League (la lega riservata alle riserve) contro il Leicester, ma non ne fa una giusta, specialmente al piede.

Se lo chiede Andy, eccome se se lo chiede, chi gliel’ha fatto fare. Ma non c’è molto tempo per recriminare o rimuginare, visto che Richards se lo chiama in panchina per il match contro i diretti rivali dei London Irish. Manca meno di mezz’ora alla fine, gli Exiles sono avanti 20 a 0. Goode entra, chiama un paio di giocate e mette l’orologio indietro di una stagione. I Falcons, che non sono comunque una brutta squadra, risalgono la china, ma è troppo tardi per raddrizzare la partita, che finisce 20 a 15.

Solo che da qui in avanti Goode prende per mano Newcastle e fa cose che al Kingston Park non si vedevano da un po’, più precisamente dai tempi in cui con il numero 10 un biondino di nome Jonny Wilkinson seminava parabole a destra e a manca. Nella partita successiva gli Harlequins, squadrone con Nick Evans in regia e Conor O’Shea in panchina, sono avanti 19 a 10 a mezz’ora dalla fine. Andy entra e nel giro di pochi minuti butta dentro 3 calci. Fanno 19 pari. I Falcons si galvanizzano e segnano pure la meta della vittoria a 3 dal termine. Sette giorni dopo si gioca a Coventry, giardino di casa di Andy, contro gli Wasps. Goode giusto un paio di anni prima aveva detto 33 in maglia giallonera, record per un giocatore con quella casacca, e ora se li ritrova davanti e gioca da titolare. Le Vespe vincono solo nel finale, senza segnare una meta.

Per dire, gli stessi Wasps una settimana dopo ne metteranno 64 in casa dei Saracens.

E giusto per non farsi mancar nulla nel turno successivo a Newcastle arriva Leicester. Goode è partito da lì, aveva 18 anni. Con quella maglia ha segnato quasi 1800 punti. Eppure anche qui il cuore deve saper andare oltre, e Andy ha troppo poco tempo per ricordare, rivivere ed emozionarsi. Mette a segno 3 piazzati e due trasformazioni, Newcastle vince 26 a 14. Gli Irish arrancano e ne prendono 35 da Northampton, che sette giorni dopo arriva al Kingston Park.

E le prende. Eccome se le prende.

Per 50 minuti sembra di vedere quel famoso spezzone di “Lo chiamavano Trinità” in cui Terence Hill con una mano gioca con la pistola e con l’altra schiaffeggia chi aveva osato sfidarlo. Goode butta dentro 4 piazzati, due trasformazioni e manda a spasso per un’ora il triangolo allargato avversario. Poi loro recuperano, i Saints sono una signora squadra, ma si fermano ad un punto.

Goode gioca solo un altro match con i Falcons, contro Worcester, altra squadra dove ha lasciato un pezzo di cuore. E un cartellino rosso, l’unico della carriera, arrivato per un placcaggio alto e in ritardo su Tom Croft.

Poi torna Delany, e Goode saluta tutti, il suo tempo a Newcastle è finito.

Sarà uno dei 5 candidati al premio di Miglior Giocatore della Premiership.

Non lo vince lui, sarebbe venuto giù tutto.

Ma va bene anche così.

Il buon Andy è comunque soddisfatto, ha potuto dimostrare il suo valore in campo e l’ha fatto con il timer in mano, perché quando sai che il tuo ritiro è programmato hai tempo di programmare e di metabolizzare il tutto.

Soddisfatto perché con una forma fisica sui generis ha portato il fanalino di coda a battere Leicester, Northampton e Harlequins, dimostrando che i muscoli saranno sempre importanti, ma mai quanto sapere dove e come rimbalzerà una palla ovale. Mai quanto saper far girare le rotelle.

Al Telegraph, in una lunga intervista, dirà “Guardate, so che la condizione fisica è dannatamente importante. Certo che lo è. Ma sembra che qui si sia perso di vista altro. La cosa più importante in assoluto in campo è essere consapevoli di cosa succede attorno, dei giocatori attorno a te, di cosa bisogna fare e di come bisogna farlo. Le abilità sono tutto, il passaggio è tutto. Questo è quel che spero di aver mostrato in questi mesi. È stato divertente, e questa è la prova che il rugby è ancora un gioco per tutte le taglie.”

Cheers, Andy. Ce l’hai fatta.

Se non altro, ora Megan sarà più contenta.

E l’aria di Coventry, forse, un po’ più mite.

Anche la Corona, forse, ora ha un sapore migliore.

Ma non ditelo troppo in giro.