988328_10200114426143973_102146929_nDi Lorenzo Cirri

Lo sapevo, siamo di nuovo fermi. Oggi la mia stazione pare non arrivare mai. Eppure se guardo fuori dal finestrino di questo treno, che ha più anni di me (e non sono pochi), potrei godermi il bellissimo panorama dell’Appennino, invece no. I miei pensieri sono tutti diretti alla meta, il mio punto d’arrivo. Un po’ come nel rugby, una bella azione si fa apprezzare nella sua essenza, ma se non porta a segnare una meta, rimane fine a se stessa. “Colpa delle strutture usurate” mi dice un controllore, “purtroppo questa linea da quando c’è l’alta velocità è un po’ abbandonata a se stessa dalla Ferrovie dello Stato” Parole quasi casuali, di semplice rassegnazione. Basta poco, le riflessioni sono come la sabbia, per quanto tu non voglia pensare, bastano poche sparute parole, pur avulse dal loro contesto naturale a mettere in moto un crogiolo mentale nel quale ti ritrovi a gettare le analisi e le considerazioni più varie. Strutture… Una parola da pronunciare quasi sottovoce nel mondo del rugby, se parliamo di ragazze poi, vige da sempre una sorta di diktat all’interno delle varie società: “accontentati!”, spesso molto meno di una rassegnata raccomandazione. Strutture è una parola grande, infatti dentro ci si possono infilare un sacco di cose, dagli allenatori (e mi chiedo perchè ancora oggi si faccia fatica a pensare che le ragazze meritano allenatori preparati e che un bravo giocatore che presta il suo tempo alla squadra può essere d’aiuto, ma non è un allenatore), ai campi e ne ho viste fin troppe di squadre di ragazze doversi allenare il lunedì sera dopo che si è giocato la domenica, perchè il campo non è libero… Il martedì c’è la prima squadra, tu capisci vero? Logico! Le ragazze le vogliamo paragonare alla prima squadra maschile? Non sia mai! Al limite sarà a disposizione la famigerata area di meta e quante squadre di ragazze ho visto allenarsi in quell’angusto corridoio, tanto amato la domenica, tanto malvisto durante gli allenamenti. Certo poi se quando qualcuno le guarda giocare e si meraviglia perchè “non c’è la percezione dello spazio”, vagli a spiegare che è difficile sapere dove sei nel campo quando sei abituato ad usare 20 m per fare tutto quello dovresti fare in uno spazio cinque volte superiore (o 2 in caso di Coppa Italia). Ma struttura è anche palestra, fisioterapista o a volte le semplici docce calde dopo un allenamento a dicembre e lo so che la situazione è difficile per tutti, ma spesso quando per i ragazzi è grigia per le ragazze è nera. Lo so, giocare a rugby ha ancora un che di romantico e pionieristico: le trasferte pagate di tasca propria, le maglie rattoppate, le tute che non ci sono, i palloni da allenamento lisci, perchè erano quelli che usava la prima squadra l’anno precedente ed un mantra da tenere sempre bene a mente: “accontentati!” Tutto questo ha sua giustificazione, che però diventa inutilizzabile in un preciso istante, ovvero quello in cui da più parti si comincia a parlare di crescita, di livello, di prestazione e risultato. Il rugby è, e deve rimanere, un divertimento, ma se vogliamo crescere allora bisogna cominciare a pensarci a queste strutture. Se vogliamo che le ragazze le creino in campo le strutture di gioco e che queste strutture siano efficaci, bisogna dar loro gli strumenti per lavorare. Perchè ogni anno in tutta Italia c’è un numero enorme di ragazze, che vogliono solo giocare questo bellissimo gioco, facendolo nella maniera migliore possibile e si sentono immancabilmente promettere miriadi di cose che poi non arriveranno, perchè comunque c’è sempre qualcuno davanti, la serie C, i ragazzi, i bambini, gli old e chi più ne ha più ne metta ed allora io mi chiedo come faccio a spiegare loro che il primo principio del rugby è “Avanzare” e non “Accontentarsi”?

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