Di Lorenzo Cirri

Certi giorni sono davvero strani. Sono giorni in cui, forse, complice tutto quello che ti gira intorno le parole nascono con un sapore particolare, sanno di freddo, di vento e di terra e ti rimangono appiccicate addosso, come quel fango meraviglioso del campo, dopo un bell’allenamento. Magari il primo, quello che, anche se non lo sai, rimarrà per sempre impresso nei tuoi ricordi.
Sono tanti anni che sono sui campi di rugby, quasi non me lo ricordo più il mio primo allenamento, del resto avevo a malapena 6 anni. Me ne ricordo invece tanti altri di primi allenamenti, quelli delle ragazze alle quali ho avuto il piacere, ma anche il difficilissimo compito di insegnare questo strano gioco. Ne ho viste tante passare dai campi, molte sono rimaste, quasi tutte.
Si inizia sempre così, con i soliti esercizi quelli banali, le mani sul pallone, cadere a terra, correre. Sembra tutto fin troppo facile. Dopo pochi minuti però arriva il primo placcaggio, cade il primo pallone. C’è quasi sempre un gesto di stizza seguito da un senso di vergogna e l’affermazione remissiva delle scuse, alle compagne ed a chi, con tanta pazienza, dirige ed insegna. Non è mai facile imparare qualcosa. E’ proprio in quel momento preciso che ognuna modella il proprio carattere, in giornate come questa, quando nonostante la rabbia si trova comunque sempre la voglia di andare avanti. Ho imparato una cosa in tanti anni da allenatore delle ragazze: una donna è in grado di comprendere i suoi errori solo quando termina di pagarne le conseguenze.
E’ sempre una guerra privata, fin da subito, ognuna combatte sempre un po’ contro se stessa. Comunque andrà a finire ogni volta, sarà lei che vincerà.
Pantaloncini corti, certe volte di colori improbabili, fedeli compagni di ogni movimento anche con la pioggia e poi una maglia venuta fuori da chissà dove, maniche lunghe anche con il sole. E sorrisi, una lunga serie di sorrisi.
Ne ho sentite tante di motivazioni per venire sul campo, dalle più semplici alle più improbabili, ma tutte con un denominatore comune: la voglia di mettersi alla prova. Loro, ancora non lo sanno ma, sono già donne caratterizzate da un carisma forte e deciso.
Domande. Quante ce ne sono al primo allenamento! Cosa devo fare? Dove devo andare,
A volte basta uno sguardo, dopo c’è quasi sempre un sospiro, uno scatto. E lei reagisce ogni volta con maggior intensità e determinazione. Perché le donne del rugby sono determinate.
Spesso mi chiedo come siano disposte a rimanere cosi tanto in un luogo che sembra irrimediabilmente estraneo, fatto di regole e movimenti convulsi. No, non è masochismo, ma amore per il gioco e speranza di migliorarsi. Le ragazze sanno sempre che possono diventare migliori. Una qualità che ho sempre invidiato. Almeno un po’. E’ proprio questo che permette ad una donna che arriva sul campo di capire che non può uscire da una realtà tanto complicata da sola. Imparerà a chiedere aiuto, mettendo da parte l’orgoglio, il timore di non essere capita e l’imbarazzo del non capire.
Alla fine, arriva sempre il momento, durante questa battaglia personale, in cui qualcuno le tenderà una mano. Inizia così quel cammino che in un modo o nell’altro resterà ovale, per tutta la vita.
L’allenatore, le compagne, in quel momento cessano di essere tali. E’ li che si diventa famiglia.
Mi piace guardarle così assopite nel vivere le loro emozioni. Nessun altro o altra e in grado di comprendere questa realtà. Gli amici, i fidanzati, i genitori ne sono semplicemente sopraffatti e finiscono per essere buffi, quando spesso argomentano scettici sull’improbabilità delle svariate situazioni che si presentano sul campo.
Tempo. La strada sarà lunga e faticosa, spesso dolorosa; ogni giocatrice sa che sarà obbligata a scontrarsi con la realtà, a riflettere su tutto ciò che avviene sul campo e fuori ad imparare che non si deve sentire diversa, o meno donna di tutte le altre, che da qui non passeranno mai. Difficile, o forse no. Non è poi così brutto rotolarsi nel fango.