Di Valerio Amodeo

Un giorno di diciassette anni fa un mio amico mi disse dalla finestra della sua camera che stava andando all’allenamento di rugby e che, se volevo, potevo andare con lui, per provare. Io che fino a quel momento avevo visto alla tv solo un palo colpito con un calcio di punizione da Dominguez, in una sala di attesa di un medico, mi sono vestito e sono uscito convinto che “tanto si trattava solo di andare a giocare per un pomeriggio a qualcosa di diverso”. Da quel momento la mia vita è cambiata e ho scoperto un mondo nuovo, che ha fatto di me una persona totalmente diversa da quella che ero e che ha aperto la mia mente verso orizzonti inaspettati ed esperienze uniche e sostanziali, che in alcun altro modo possono essere capite se non si sono vissute in prima persona.
Arriva poi il momento in cui ti trovi di fronte ad una scelta, importante, che può cambiare il modo di concepire il rugby e non solo. Questa  arriva così, secca. Spesso è un qualche dirigente anziano, o un allenatore, in rari casi un presidente ex giocatore, che ti guarda negli occhi, fisso e deciso e ti spiega che esistono due modi di vivere questo sport: “giocare a rugby o essere rugbisti”.
La scelta è diretta e inderogabile:  diventare rugbisti significa affrontare il campo e, soprattutto, la vita in maniera differente, attraverso ideali e schemi spesso incomprensibili agli occhi degli altri.
Da sempre, infatti, il rugbista è visto come una persona dedita al lavoro, al sacrificio, in grado di rinunciare a tanto per arrivare al top, uno pronto a primeggiare e a dare tutto per gli altri, per la squadra e poi per se, pronto a raggiungere il traguardo sperato, mantenendo vivi sempre quei valori che rappresentano questo sport.
Al contrario il giocatore di rugby è uno che pratica questo sport tanto per fare, che vive il mondo del rugby da tifoso, che gioca perché magari a calcio non è bravo, uno che la passione non la sente.
Credo invece che la vera figura portante di questo sport sia un’altra e per descriverla ho bisogno di fare una digressione:
“Una sera, durante un allenamento, il nostro coach ci riunì perché arrabbiato, dicendo che non eravamo meritevoli di giocare a rugby perché non eravamo dei rugbisti, ma semplicemente delle persone che praticavano questo sport, che non saremmo mai arrivati da nessuna parte perché giocavamo solo per bere birra la domenica, per fare i fichi con amici e ragazze, per “comprare le magliette da rugby e andare in giro per via del corso”. Insomma, eravamo dei PORTATORI DI MAGLIETTA”.
Da quel momento nella mia squadra è nato il gruppo dei PDM (di cui sono socio fondatore).  Ovviamente non si era nulla di tutto ciò che intendeva l’allenatore, ma certi di essere rugbisti, sapevamo però di avere un qualcosa di diverso.
Infatti, il PDM è un qualcosa di più di un “semplice” rugbista. E’ una persona che incarna tutti quei valori e quelle caratteristiche proprie del rugby, ma che non ha perso lo spirito e la voglia di fare tutto questo per il semplice gusto di bere una birra con gli amici. Perché che tu sia Mc Caw o il più grande scandalo del rugby italiano, se dai il massimo e ti sacrifichi non solo per la vittoria, ma soprattutto per il gusto di poterla festeggiare insieme agli amici al pub sei l’essenza del rugby, sei UN PORTATORE DI MAGLIETTA.
Per questo  voglio arrivare a vincere la coppa del mondo, ma solo perché…sai dopo che bevuta!!!!