Di Sabrina Parodi

Capelli lunghi, barba, un duro in campo, implacabile. Lo chiamano Orco o Caveman, ma non è né l’uno né l’altro, ora ne ho la certezza. Già un po’ me lo sentivo, ma dopo poche pagine della sua autobiografia “La mia piccola stella” ne ho avuto la conferma.

Non aspettatevi un libro sul rugby, non lo è e lo si capisce sin dalle prima parole: “Io non sono un rugbista”. Ho strabuzzato gli occhi e sorridendo sono andata avanti curiosa ed estasiata. E’ piuttosto la storia di un uomo giunto al rugby – come spiega lui stesso – per caso perché questo non è il suo mestiere sebbene ne possegga ovvie qualità, ma che si sente lontanissimo dalla perfezione e mentre si racconta si percepisce l’intima soddisfazione per non essere ciò che tutti credono. Chabal non ha mai avuto un idolo né nel rugby né altrove e non per arroganza; c’è molta semplicità in tutto ciò.

Il racconto della sua vita mi ha commosso. Ho scoperto un uomo autoironico, divertente e, strano ma vero, timido e sensibile. Lo sapevo! Generosità ed onestà sono da sempre per lui valori inconfutabili perché è ciò che gli hanno insegnato sin da piccolo. Notorietà, professionismo e denaro non hanno intaccato il nocciolo della sua identità: lui sarà sempre l’operaio che amava il lavoro in fabbrica, gli scherzi con gli amici del paese, uno scavezzacollo, sì, ma semplice e genuino.

L’importante è rimanere fedeli a quello che si è sempre stati senza dimenticare da dove veniamo, senza fingere di essere persone diverse.” Tutto ciò Chabal ce lo ha sempre ampiamente dimostrato anche a suo discapito: la schiettezza non è molto mediatica.

E poi… poi la rivelazione. Quando sono arrivata al capitolo “La donna della mia vita” le sopraciglia mi sono schizzate oltre l’attaccatura dei capelli. Lui, l’Orco, dedica un intero capitolo ad un argomento simile? Sì! Non solo non è un libro sul rugby, questo è un libro sull’amore, fidatevi.

E’ con una semplicità disarmante che racconta di quando notò Annick per la strada, distinguendola fra tante altre; il non riuscire a staccarle gli occhi di dosso, senza poter dire una parola per timidezza. La paura di vederla sparire e non incontrarla mai più. Il percepire confusamente che con lei la sua vita stava per prendere una nuova direzione. Ed allora l’impulso di fare qualcosa d’inconsueto, di avventato perché non perderla era qualcosa di inevitabile, l’unica cosa che contava. L’avvicinarla, il guardarsi negli occhi e poi baciarsi senza dire nulla: “Un gesto dolce e violento, calmo ma appassionato, naturale ed inconsulto”. Wow!

Un amore cresciuto piano quello fra Annick e Sebastien, maturato con il tempo, rispettando le vite di entrambi, un amore che ha resistito negli anni, quindi raro come una perla. Un amore grande.

Non voglio raccontare la loro storia nei dettagli, la lascio alle parole dolci e concrete di Chabal che da uomo vero ammette che è grazie a lei se lui è ciò che è ora.

Ribadisco, per favore, non chiamatelo Orco. Già è raro per un essere umano di genere maschile parlare apertamente dei propri sentimenti, come potrebbe un orco parlarne in questi termini?

L’amore ci salva dall’ordinario, prigione della nostra vita quotidiana. Speriamo che arrivi, senza sapere dove e quando si manifesterà. Dobbiamo sempre credere nell’amore, ma non lo dobbiamo mai aspettare se vogliamo che venga verso di noi. Non lo dobbiamo neppure cercare, sarebbe il miglior modo di spaventarlo. L’amore è una deliziosa trappola che si richiude su di noi. Ci sono finito anch’io in quella trappola, ma non ho mai cercato di scapparne, prigioniero volontario e vittima consenziente di una bella storia che non si ferma da oltre dieci anni.”