Una serata come le altre in apparenza, mi accingo a preparare la borsa per
il consueto allenamento serale: gli scarpini ci sono, scaldamuscoli anche,
para denti pure ma….manca qualcosa?Mmm forse la sciarpa visto il freddo
che c’è! Vabbè tanto dicono che lo sport faccia bene, per cui mi armo di
buona volontà e mi lancio in bicicletta verso lo stadio.

Là saranno già tutti in campo a calciarsi la palla, un modo come un altro
per sostenere di essersi riscaldati agli occhi dell’allenatore, tanto non ci
“casca” mai ed è da dieci anni, oramai, che ci proviamo. Il mio arrivo è
accolto dal solito notevole quantitativo di “insulti amichevoli”, riguardo
al fatto che sono perennemente in ritardo e, soprattutto, dimenticone. Come
volevasi dimostrare, infatti, sono sprovvisto di una felpa e visto il freddo
che mi sta entrando nelle ossa non è per niente un bene. Faccio finta di
niente e raggiungo i miei compagni nel mezzo del campo. L’aria che si
respira allo stadio è “strana” questa sera, domenica affrontiamo la prima in
classifica e la tensione è tanta, anche se nessuno vuole ammetterlo. In una
squadra di rugby, infatti, solo il capitano può manifestare sentimenti, è
perennemente scuro in volto, serioso, pensa prima di parlare e, soprattutto,
si lascia spesso andare a sentimentalismi di attaccamento alla maglia e alla
città, per caricare i SUOI ragazzi (tutti e dico tutti approvano,
piangerebbero anche, ma essendo “rugbisti”, dei duri, non lasciano
trasparire nemmeno un occhio lucido, nemmeno uno). Il discorso pre –
allenamento richiama tutto quello che degli Olimpionici farebbero
atleticamente, tecnicamente e a livello di concentrazione, prima di una gara
importante. Noi tutti annuiamo in silenzio (consapevoli che non sarà mai
così) convinti e concentrati, con la consapevolezza che domenica sarà
l’incontro della nostra vita (uno dei tanti, in fin dei conti, ma un
rugbista pensa ad ogni partita come l’incontro epico, che tutti sognano
accada, almeno una volta nella vita. Se poi è in casa, contro la prima in
classifica…fate voi). L’allenamento procede per il verso giusto, tutte le
palle restano in mano, nessun litigio tra i piloni e le seconde linee,
nessuno insulta le ali (gli esteti del rugby, sono sempre perfetti, puliti
anche nelle peggiori giornate di pioggia), i centri si passano addirittura
la palla e l’apertura azzecca tutte e dico tutte le scelte di gioco. Quasi
un miracolo, anche l’allenatore ne è stupefatto, incredulo oserei
dire…dopo aver chiamato “l’ultima giocata” per 46 volte, promettendo poi
la tanto agognata doccia, fa finalmente finire l’allenamento e si sbilancia
in un discorso fatto di valori profondi e vittorie indimenticabili (tutti
silenziosi ascoltiamo senza però collegare il cervello…con la scusante del
“fine allenamento”). Poi è il turno del capitano: esordisce in tono assai
pacato, sembrerebbe sminuire il match domenicale, poi però come il migliore
dei direttori d’orchestra alza i toni e stimola ogni parte della sua
personale formazione. Tutti sono toccati dal suo discorso, tutti, nessuno
escluso, massaggiatore ed estremo compresi. Ci lasciamo con il classico urlo
collettivo e poi via verso la doccia…il gruppo c’è, la voglia di vincere
anche, l’amicizia pure…ora speriamo che domenica vada veramente come
vogliamo. Mi allontano pensieroso sulla mia bicicletta verso casa, borsa in
spalla, ascolto il silenzio della campagna pensando a quello che ci siamo
detti prima, durante e dopo l’allenamento, ragionando su quanto sono
fortunato ad essere un giocatore di rugby. Poi un suono fastidioso, molte
forte e continuo…è la sveglia: devo alzarmi dal letto e andare al lavoro.
Era tutto un sogno? Eh si, ma le sensazioni rimangono, forse perché sono
quelle che provo ogni volta che entro in un campo da rugby, anche per una
semplice passeggiata…bhè speriamo che stasera vada proprio in questa
maniera.