Il ruolo di osservatore proprio non mi si addice. Diciamo che non mi è mai calzato a pennello. Così in questo periodo che ho sempre a casa i nipotini non riesco a non intervenire nella loro quotidianità, del resto se devo essere un nonno “rompi coglioni” lo devo essere fino in fondo. Così l’altra sera dopo una partita di calcio con gli amici della via, durata una cosa come 4 ore, mio nipote è rientrato a casa più triste e turbato del solito (sono cose che capisco, in modo particolare quando si parla di un atteggiamento post sport). Così ho deciso di intervenire, con dolcezza, per capire. Odio vederlo soffrire. 

Io: “Nano, tutto bene? hai gli occhi tristi”; 

Edoardo: “Non lo so nonno, certe cose non le capisco. Non so se sono io quello sbagliato”; 

Io: “Raccontami. Sono vecchio e se posso una mano te la do volentieri”; 

Edoardo: “Oggi ho litigato con alcuni amici. C’è stato un momento in cui avrei voluto colpirli, ma mi sono fermato”;

Io: “Per prima cosa bravo. Con la violenza non si risolve mai nulla. Ma per cosa te la sei presa?”; 

Edoardo: “Ma niente, in campo è arrivato un nostro compagno di scuola. Un ragazzo come si dice, straniero”;

Io: “Ok, e poi?”;

Edoardo: “Ma niente lui è fortissimo in tutti gli sport, è proprio portato. Solo che due a..amici, hanno iniziato a prenderlo in giro. lo chiamavano, Negro, scimmia e simili. Che poi cosa significa Negro? Così lui dopo poco è scappato in lacrime, io ho provato a fermarlo ma lui corre veloce, tanto e non sono riuscito a raggiungerlo. Poi ho litigato con gli altri. I più stavano zitti, ma i due se la ridevano. E io non capisco. Ho sbagliato?”.

Io a quel punto ho provato orgoglio, perché anche se piccolo lui percepisce quello che sente in casa ed evidentemente a mio figlio ho insegnato bene e, allo stesso tempo, rabbia perché il mondo sta andando proprio male. A cinque/sei anni non si possono fare distinzioni di razza. Così l’ho tranquillizzato e gli ho raccontato una storia, cercando di fargli capire perché il razzismo deve rimanere fuori dallo sport ed è sbagliato a prescindere. 

 

In un tempo passato, come sai, sono stato un giocatore di rugby. Sport che ho amato e che mi ha aiutato a crescere e ad affrontare i problemi anche nella vita. A quei tempi non esisteva un vero e proprio mercato. Così chiunque arrivasse era ben accetto in mezzo al campo. Una sera di novembre, durante l’ennesimo giro di campo per punizione a causa di Antonino, che proprio non voleva tenere in mano il pallone quella notte, comparve a bordo campo un ragazzo di colore, immenso. Fisicamente fatto per il rugby. Così l’allenatore, che aveva l’occhio lungo per i talenti ovali, lo raggiunse  e inizio a parlargli. Dopo 15 minuti di silenzio, il coach mi chiamò. “Oh, prova con l’inglese, tu che lo sai, qui ho solo ottenuto dei lunghissimi silenzi”. Io, allora, provai a farlo parlare. Capii solamente che aveva giocato a rugby e che faceva la terza linea centro. Lo convinsi, poi, a giocare con noi. Conoscendo i tempi burocratici, mi feci consegnare tutto le sue carte e le diedi alla nostra segreteria che si mise all’opera. In ogni caso l’appuntamento era per l’allenamento successivo. La curiosità era tanta, perché un ormone così grosso non l’avevamo mai visto. Il fatidico allenamento arrivò. Tutti eravamo rilassati, tranne Marchino che cercava sostenitori in merito al fastidio di questa nuova recluta ovale. Tutti lo mandavano “a quel paese” perché lui voleva solo criticare il fatto che fosse di colore, ma fortunatamente nessuno lo supportava. La risposta era sempre la stessa: “E allora? Tanto in campo ci supportiamo tutti”. Così arrivò anche “Piccolo”, l’avevamo soprannominato così, in realtà sarà stato alto 1.90 X almeno 120kg; un colosso. Presentazioni varie e lui sempre silenzioso, pochi sorrisi. Inizia l’allenamento e le cose, tuttavia, cambiano lui parla, urla, chiama, sostiene, sfonda e aiuta chiunque. Poi, nelle pause il silenzio. Marchino, intanto, continua a prenderlo in giro, usa anche parole forti, ma da parte sua nemmeno una reazione, anzi, lavora ancora più duro. Alla prima gara disponibile, documenti federali alla mano, decidiamo di schierare “Piccolo” otto titolare e il capitano si sposta flanker. La partita non è delle più difficile, ma siamo tutti preoccupato per Marchino che proprio non lo vede “il negro” come lo chiama lui. Le preoccupazioni, infatti, diventano fatti reali in campo: Marchino evita Piccolo, non gli passa la palla in almeno quattro occasioni, ma soprattutto lo prende in giro ad alta voce e non lo sostiene, mai. A fine primo tempo il coach gli fa una scenata che anche buona parte dell’altra squadra ascolta in prima persona, talmente alto è il volume delle urla. Si rientra in campo e gli avversari puntano solo Piccolo che, nonostante la grandezza, alla lunga inizia ad incassare, ma non molla. Marchino non lo sostiene e, addirittura, inizia a giocare sporco in generale. Così interviene Il Rugby: tu fai falli per provocare? Qualcuno reagisce. Il loro tallonatore si alza da un raggruppamento e carica il pugno per colpire Marchino. A quel punto spunta dal nulla Piccolo che prende il tallonatole e lo lancia verso la touche. Poi guarda Marchino e in perfetto italiano: 

“Questo è rugby, sport. Noi siamo compagni di squadra, qui non c’è colore, etnia, credo politico. Qui siamo amici e io ti ho difeso ora e ti difenderò sempre, perché a modo nostro diventeremo amici. Io sono Negro, lo so. Ma tu saresti Bianco dalle mie parti”.

Marchino bloccato, quasi congelato da quelle parole, così come altri 28 giocatori, più l’arbitro. La partita riprese e noi la vincemmo. Non so se perché c’era stato questo fatidico chiarimento, fatto sta che da quel giorno Piccolo e Marchino non si sono mai più divisi, l’uno ha insegnato qualcosa all’altro e anche oggi, da vecchi, litigano, discutono, ridono e non dimenticano un pugno di parole inutili rivolte a Piccolo e un pungo quasi dato a Marchino che ha creato un’amicizia che dura, oramai da una vita. 

LA FOTO ALLEGATA MI PAICEVA.