Ci sono attimi, momenti, azioni che il rugby immortala e consegna ai posteri. In racconti, Aneddoti, Miti, Leggende. Io, dico personalmente, ho avuto il piacere di viverne una. Ma andiamo con calma. Cercherò di spiegarvi la stagione, l’anno, il protagonista e il contesto. Parliamo di qualche tempo fa, io vivevo la mia prima stagione rugbistica romana. Giocavo in una squadra spettacolare, tanto per la qualità sportiva dei giocatori, quanto per quella delle persone. Eravamo una squadra amatoriale, che tuttavia si comportava da semiprofessionista. Ci si allenava tanto. Si stava altrettanto insieme, dentro e fuori dal campo. Avevamo la fortuna di avere un paio di giocatori davvero forti e uno di questi era il mediano d’apertura. Un metronomo del gioco che sapeva dettare i tempi in maniera impeccabile. Diciamo che gestiva le partite e poi lasciava spazio ai “giovani”. Ecco qui entra in gioco il nostro protagonista, che per nascondere la sua identità chiameremo Valerio Amodeo. Un atleta all’apice della carriera. Con un passato nelle giovanili della Rugby Roma e una serie di esperienze da trascinatore in serie B e C. Ecco in quella squadra lui era una riserva di lusso, perchè a livello di serie B poteva fare la differenza. Un appassionato della palla ovale, un giocatore che aveva il “placcaggio a zainetto facile”, una visione di gioco di buon livello, uno stress universitario costante e un “piede” che, ad intermittenza, dava soddisfazioni. Ecco, in questo contesto siamo a 10 minuti dal termine di una gara importante contro il Rugby Milazzo, una delle corazzate di quella stagione ovale romana. L’apertura titolare (di cui non facciamo il nome per non oscurare il talento a fianco al protagonista Amedeo) percepisce che il risultato è al sicuro e, stanco, chiama il cambio. Stiamo per fare una mischia sull’out sinistro del campo. Poco fuori i ventidue metri della squadra avversaria. Siamo in attacco, quindi. Io, nonostante il fisico da tallonatore vissuto, gioco primo centro e, al momento dell’entrata in campo di Valerio Amodeo, cerco di capire come cambierà il gioco in questo finale di gara. Valerio si assesta nella posizione a lui più consona. Poi ghigna all’allenatore che sta serio sul tetto degli spogliatoi e lo osserva. L’Amodeo, teso, mi guarda e chiama una X. Io annuisco e lo comunico agli altri trequarti. Un aquilano e un olandese, i più vicini. L’introduzione del mediano è precisa. La spinta della mischia impeccabile. Al momento del passaggio, però, qualcosa succede e riesce male. L’Amodeo è fuori posizione (stavolta non per causa sua). Io provo a riposizionarmi. Lui, tuttavia, riceve il pallone. Indietreggia. E qui l’aria si ferma, il respiro dei giocatori si percepisce affannoso, le gocce di sudore scendono vistosamente dalla fronte dell’Amodeo (è entrato da nemmeno un minuto), l’urlo di coach Gentile echeggia in tutto il centro sportivo. Ma quello è il momento di una decisione. E Amodeo decide di confermare di non essere un giocatore qualunque, ma un genio incompreso. Prende il pallone a due mani e sulla pressione avversaria lo lascia cadere dolcemente. Ha deciso per un drop. Io, fiducioso, mi appresto a recuperare il pallone che presumo rimbalzerà sull’avversario. L’estremo olandese in un perfetto romano urla “Li mortacci tua”. Ma l’Amodeo è deciso e colpisce il pallone in maniera perfetta. L’ovale si alza. L’ansia colpisce tutti i giocatori. I più in panchina piangono. In campo tutti sono presi da attimi di panico. Io, personalmente, dalla consapevolezza che su quel recupero a terra prenderò gli ennesimi pestoni sulla schiena. Questa situazione di trance generale finisce solo nel momento in cui l’arbitro, incredulo, fischia i 3 punti a favore. Il torpore generale finisce. L’olandese ride dicendo, testuali parole: “Ho visto proprio tutto. Oggi finito rugby”. I piloni si alzano senza sapere cosa sia successo, pensando di dover fare un’altra mischia. Gli avversari, quasi intontiti da cotanto gesto tecnico fanno fatica a ritrovarsi. L’allenatore su tetto, per una volta in silenzio, diviso tra la voglia di sparargli e la consapevolezza che la scelta sia sta giusta. In tutto questo l’Amedeo sorride come un Wilkinson dopo il drop all’Australia. Si sistema la maglia nei pantaloncini e si dirige a centrocampo. Diciamo che fa proprio una passerella tra tutta la squadra incredula. Felice, ma incredula. L’arbitro, poi, fischia la fine della partita. E qui l’uomo entra nel mito. 1 minuto di gioco. 1 drop. 3 punti. E tutti a casa. Per correttezza vi dovrei raccontare anche il terzo tempo, ma ora teniamo tutti famiglia e certe cose rimangono nelle leggende che ruotano attorno a tutte le feste ovali (questa l’ho scritta solo perchè così la gente si chiederà, ma cos’avranno fatto. In realtà nulla. O forse no…).

@davidemacor