Di Vittorio Cicalese

Dopo l’entusiasmante vittoria contro la Francia in tanti credevano che i giochi ormai fossero chiusi: l’Italia ha vinto, dunque può e soprattutto DEVE continuare a vincere. A dirlo ovviamente erano per primi gli scettici, coloro che prima della vittoria contro la Francia stavano già preparandosi ad accogliere un cucchiaio di legno o una vittoria fortunosa contro chissà chi, e tutto il popolo sportivo italiano che prima della vittoria di capitan Parisse e compagni a malapena conosceva l’esistenza di una nazionale italiana di rugby.
Ma a distanza di soli sei giorni il capitano della nostra nazionale è passato dal rendersi conto di essere diventati forti al rendersi conto di essere ancora molto indietro rispetto al ritmo di gioco necessario per poter competere a livello internazionale contro le grandi.
Partita mai in bilico quella contro la Scozia giocatasi al “Murrayfield”, con i padroni di casa capaci di gestire il gioco a loro piacimento senza alcuna particolare preoccupazione procurata dal gioco poco organizzato ed arronzato degli azzurri. Il tentativo di muovere l’ovale sulla seconda linea d’attacco, con movimenti simili a quelli che tanto male avevano fatto ai vice-campioni del mondo della Francia è stato completamente annullato dall’ottima difesa francese, che ha costretto la nostra linea trequarti ad inventare azione su azione, con pessimi risultati. Un peccato ancor più grande se si tiene conto del cap numero 100 del grandissimo Barone Andrea Lo Cicero, pilone che tanto ha dato alla Nazionale nei suoi 13 anni in azzurro.
Dire che la Scozia abbia espresso un proprio gioco è esagerato: ottima senza dubbio la difesa ma in attacco, e soprattutto in occasione delle mete segnate con eccessiva facilità, il gran merito è stato dato dalla differente condizione atletica delle due squadre ed in qualche rarissimo caso anche dal mancato intervento dell’arbitro su situazioni eclatanti di gioco da terra e/o di antigioco da parte del XV scozzese. Soltanto Botes nel primo tempo è riuscito ad evitare il peggio dopo un liscio clamoroso al piede di Venditti, ma si tratta dell’unico caso in una partita che non ha avuto storia. Oltre al nostro mediano degni di nota anche il solito Martin Castrogiovanni, che ha tenuto alto l’onore azzurro andando a pulire in modo egregio nonché molto fisico nelle poche ruck a nostro favore e Simone Favaro, il migliore dei nostri per grinta e tenacia dimostrata sia in attacco che in difesa.
Poche parole per una partita di cui non si può dire molto ancora: il 34 a 10 finale rende ben chiara l’idea di quanta distanza ci sia ancora tra il rugby giocato dalla nostra Nazionale e quello ad alto livello, dettato dalla grandissima tradizione ovale e giocato con continuità ed umiltà. Proprio quest’ultima è mancata ai supporters ovali italiani ed all’intera Nazionale.
Dopo questo incontro la speranza è che si riesca ancora a giocare a buon livello, come abbiamo dimostrato di sapere e di potere fare in diverse occasioni durante la gestione Brunel. Occorre però un bagno d’umiltà, come quello che si spera tutti abbiano fatto in questa doccia scozzese che, anziché alternare getti caldi e freddi, ci ha fatto soltanto “bruciare”. E non poco.