Cattolica Test Match 2018, Roma, Stadio Olimpico, 24-11-2018, Italia v Nuova Zelanda.
Foto: Roberto Bregani / Fotosportit

L’head coach degli All Blacks Steve Hansen, dopo il test match di sabato scorso tra Nuova Zelanda e Tonga, ha rilasciato alcune dichiarazioni molto critiche nei confronti di World Rugby e delle Home Unions; la risposta dell’organo di governo del rugby mondiale non si è fatta attendere, anche se è sembrata una difesa “d’ufficio”, che non ha risposto nel merito alle osservazioni di Hansen.

Dopo che gli All Blacks hanno demolito Tonga con il punteggio di 92 a 7 (e giocando volutamente con 14 uomini negli ultimi 15 minuti di gara), Hansen si è scagliato contro World Rugby, affermando che non si sta facendo abbastanza per sostenere le nazioni del Pacifico (in particolare Tonga, Fiji e Samoa) nella loro crescita. In particolare, queste nazioni così piene di talento rugbistico non riescono a svilupparlo, secondo il coach dei “tuttineri”, perché non hanno la possibilità di confrontarsi con regolarità con le nazionali di Tier 1; inoltre, i calendari internazionali per come sono strutturati al momento non consentono ai giocatori del Pacifico (che militano quasi tutti in campionati esteri, soprattutto in Europa) di riunirsi con regolarità in raduni abbastanza lunghi da permettere di creare un vero amalgama di squadra.

“Abbiamo delle idee meravigliose per la crescita del gioco, ma non c’è un’organizzazione a capo di tutto che voglia essere forte abbastanza per dire: questo è quello che stiamo facendo, dobbiamo avere un calendario globale” ha affermato Hansen; “Il Sei Nazioni governa il programma dei test match di World Rugby. Non vogliono rinunciare a questo, e finché non lo faranno non vedremo alcun progresso”.

Il chiaro riferimento è alla proposta di riforma dei calendari internazionali denominata Nations Championship, che prevedeva di sostituire le finestre di test match estivi ed autunnali con un Torneo suddiviso in divisioni e conference con promozioni e retrocessioni, nel quale – per fare un esempio – l’Italia avrebbe giocato ogni anno, oltre alle gare del 6 Nazioni, anche una partita con ciascuna delle nazionali del Rugby Europe Championship (il cosiddetto 6 Nazioni B): Georgia, Romania, Russia, Spagna, Portogallo e Belgio.

La proposta, annunciata nel marzo 2019, è passata attraverso successive riunioni e proposte di modifica fino alla definitiva bocciatura, comunicata da World Rugby a giugno. Tra tutte le perplessità espresse – insieme a quella, più che legittima, di un rischio di sovraccaricare con altre partite un calendario già molto pieno – pare che la più decisa sia stata quella del board che governa il 6 Nazioni, che non vedeva affatto di buon occhio il meccanismo delle retrocessioni né la proposta di gestire a livello globale i diritti televisivi. Da qui le critiche di Hansen riguardo all’ostruzionismo delle Home Unions e alla scelta di World Rugby di non imporre fino in fondo la sua volontà.

World Rugby, dal canto suo, ha replicato affermando di avere molto a cuore lo sviluppo del rugby in tutto il mondo, tanto da aver garantito un finanziamento globale di 60 milioni di sterline per supportare l’approccio alla Rugby World Cup 2019 delle nazionali che non fanno parte del 6 Nazioni o del SANZAAR (Nuova Zelanda, Australia, Sud Africa e Argentina). In particolare, secondo la dichiarazione affidata al Daily Telegraph, centoventi su centocinquanta dei membri degli staff tecnici di queste nazionali sono stati finanziati da World Rugby; inoltre, l’organo di controllo del rugby mondiale lavora per garantire a questi paesi un ambiente in cui trattenere e sviluppare i migliori talenti locali, molti dei quali saranno in campo nelle gare della RWC 2019.

La replica, però, non convince fino in fondo e non risponde direttamente alle critiche di Hansen riguardo alle disparità nel calendario globale. Un dato su tutti può essere rilevante per chiarire lo stato delle cose: dalla Coppa del Mondo 2015 ad oggi, la Nuova Zelanda ha avuto la possibilità di disputare 47 test match, in confronto ai 21 di Tonga.