Noi non lo sapevamo. Non potevamo immaginare che sarebbe finita così. Eravamo solo stanchi di soccombere, pensavamo che le gocce avessero fatto traboccare tutti i vasi a nostra disposizione, e allora era arrivato il tempo di dire basta.Basta con il 6 Nazioni, basta con le bastonate a domicilio e per asporto, volevamo vincere. Non importa come, ma fare più punti dell’avversario. Bere due birre in più il sabato pomeriggio, birre da soddisfazione e non da dimenticatoio. Parlare con i nostri amici non amanti del rugby e non sentirli sempre chiedere “Ma perché non vi ritirate?”Basta, non ne potevamo più.E l’occasione per noi arrivò all’improvviso con le sembianze di un ex giocatore, ex allenatore, ex dirigente. Ne aveva viste, di cose. Presentò le sue idee in un programma elettorale e lo sottopose all’ultima occasione possibile. Il programma era riassumibile con una sola, efficacissima frase: “Basta col 6 Nazioni!”.Non diceva altro, ma prometteva che saremmo tornati a vincere, a riveder le stelle, a divertirci come quando negli anni ’90 stupimmo l’Europa. Non c’erano grossi paroloni, nemmeno grosse spiegazioni, ma arrivò al momento giusto, perché proprio in quei giorni era in corso l’ennesima, disastrosa edizione del Sei Nazioni. Quando tenne i suoi comizi, parlava sempre del grande tesoro dei club, della grande tradizione dei campionati. E prometteva un grandissimo coach per la Nazionale.Parlava bene, questo sì, e i club medio-piccoli li convinse quasi tutti. Vinse con una percentuale mostruosa e si adoperò subito per farci uscire dal 6 Nazioni. Detto, fatto: non aspettò nemmeno il 2024, firmò tutte le rescissioni possibili e ci disse che, a partire dallo stesso 2021, avremmo giocato nel Rugby Europe Championship a fianco di Georgia, Russia e le altre.Esultammo, non ci sembrava vero. Ci disse che entro due anni Inghilterra, Francia e le altre avrebbero implorato il nostro ritorno.Ecco, non andò esattamente così.Innanzitutto il secondo torneo europeo ci fece notare che, essendo su base biennale, avremmo dovuto aspettare il 2023 per potervi partecipare. Poi capimmo che il nuovo presidente, forse, non aveva fatto i conti così per bene: non aveva calcolato, per esempio, che gli introiti provenienti dal 6 Nazioni servivano per sostenere tutto il movimento. Non aveva previsto che le partite non sarebbero più state così corteggiate dai media, visto che l’uscita dal torneo più importante d’Europa garantiva la visione in chiaro delle partite dell’Italia. E, last but not least, era convinto che l’Olimpico ci sarebbe stato concesso in automatico anche per un Italia-Portogallo o per un Italia-Belgio. Beh, pensammo un po’ tutti, non caschiamo male. Ci sono tanti stadi caldi. E poi almeno ci saremmo evitati la ola e O’ surdato ‘nnamurato dopo venti minuti. Se sono questi i sacrifici – pensammo – si potevano anche sopportare.Non era tutto lì, purtroppo.Il commissario tecnico tanto promesso, vista la malaparata, uscì dal contratto e firmò per una franchigia gallese. Ah, le franchigie. Lì il presidente disse di aspettare il termine della licenza e ridurle a una. Diceva che i quaranta giocatori dell’altra, ormai sciolta, avrebbero rimpolpato il campionato. I più appetiti trovarono posto in varie squadre europee, altri si aggregarono all’altra franchigia, in campionato ne arrivarono due o tre, tutti a fine carriera.Ah, i campionati. Sulla spinta delle idee iniziali del nuovo presidente vari imprenditori si interessarono e acquisirono alcune squadre, salvo tagliare la corda quando si resero conto che la manna sarebbe durata poco. Alcune chiusero, altre ripartirono dai settori giovanili, altre vivacchiarono il più possibile. Le Accademie? Dissoltesi a poco a poco. Inizialmente qualcuno aveva proposto far confluire i ragazzi in due accademie affiliate alle due franchigie, accademie che avrebbero dovuto giocare nel massimo campionato per alzare il livello dei giovani. I club protestarono, però, perché avrebbero falsato il campionato.I mesi passavano e non vedevamo l’ora di vincere le nostre partite contro Georgia, Romania, Spagna. Ecco, vincere vincevamo, si soffriva a Tbilisi, ma a livello di gioco sembravamo involuti. Anche perché nel frattempo l’unica franchigia rimasta, devastata dalle regole imposte dalla federazione (tot stranieri, tot giovani, giocatori in ruoli definiti), perse la cordata imprenditoriale che stava alla base, perdendo la licenza di lì a un paio di stagioni.Vincevamo in Europa, dicevo, e non vedevamo l’ora che le altre squadre europee ci venissero a cercare. Solo che ci avevano già sostituito col Sudafrica, che aveva talmente tanti giocatori disseminati per l’Europa da poter schierare due Nazionali ben distinte e ugualmente competitive, una in Europa e una nell’Emisfero Sud. Anche i test autunnali, riassegnati sulla base delle nostre decisioni, diventarono meno ambiti: All Blacks, Australia e Sudafrica non venivano più, a volte quando andava bene passavano le Fiji e Samoa. Uruguay, Brasile, Cile diventarono avversarie comode, ma ben poco probanti.Talmente poco probanti che, a poco a poco, cominciammo a perdere colpi anche nel secondo torneo europeo: perdiamo in Georgia, fatichiamo a Bucarest. I nostri migliori ragazzi, quelli lanciati da Franco Smith, sono quasi tutti accasati nelle migliori squadre europee, vero. Ma visto che l’Italia non è più nel Sei Nazioni, alcune squadre mettono il veto, e ci riescono. Gli altri tirano la carretta, ma i più giovani arrivano da contesti meno allenanti e si vede.Cominciammo a capire, in quei momenti, che vincere non aiuta necessariamente a vincere.Nel frattempo qualcuno sente puzza di bruciato e, alle elezioni federali, sembra si prospetti il cambio della guardia. Si punta a ricostruire e a tornare ad alti livelli, anche perché si è stanchi di vivacchiare e di perdere contro i Lelos e le altre. Non va così, però: il presidente uscente vince e come prima cosa, offeso dai “presunti” veti delle squadre estere e convinto che fosse tutta una scusa per non sacrificarsi per la Nazionale, decide come ultimo atto di escludere dall’azzurro chiunque avesse trovato posto fuori dall’Italia nei suoi primi quattro anni di reggenza. Per ripicca anche molti dei nazionali militanti in Italia non rispondono più alle convocazioni, mettendo ancora più a repentaglio il destino della Nazionale, che si deve arrangiare come può. Si propone di ripartire dai ventenni del campionato.Già, il campionato: gli imprenditori se ne sono andati quasi tutti, di fatto sopravvivono alcune squadre che avevano investito sui settori giovanili negli anni passati, ma anche lì la prospettiva di crescere è poca. I giocatori sono quasi tutti amatori, ricevono un rimborso spese e lavorano durante la settimana. Fanno eccezione gli stranieri, quasi tutti in là con l’età e ormai fuori dai grandi giri ovali. I ragazzi mollano quasi tutti quando si rendono conto che di rugby non sopravvive, alcuni emigrano in Francia e provano la fortuna nelle accademie transalpine.Finisce che, al primo turno del Rugby Europe Championship targato 2029, perdiamo per 50 a 10 a Calvisano contro la Georgia. Mamuka Gorgodze, diventato il commissario tecnico dei Lelos, chiede cosa ci facciamo lì e se non fosse meglio per noi, anche non dovessimo retrocedere, andare a giocare contro Olanda, Svizzera e Ucraina.Ci sono le elezioni federali anche quest’anno, ma il presidente uscente non si ricandida. Forse. Non è certo. Nel dubbio, i due favoriti nei loro programmi hanno un punto in comune: ripartiamo dalla Nazionale come traino della locomotiva azzurra.Noi non lo sapevamo. Non potevamo immaginare che sarebbe finita così. Eravamo solo stanchi di soccombere, pensavamo che le gocce avessero fatto traboccare tutti i vasi a nostra disposizione, e allora era arrivato il tempo di dire basta.Basta con il 6 Nazioni, basta con le bastonate a domicilio e per asporto, volevamo vincere. Non importa come, ma fare più punti dell’avversario.Torniamo agli anni ’90, ci dissero.Stavolta, però, senza campionato. E senza generazione di grandi giocatori.No, questi non sono più gli anni ’90.Se escludiamo un unico particolare. Un personaggio comico, una macchietta all’epoca.Ma se ci ripenso, non mi fa più così ridere.Magari sarà il pannolone troppo stretto.