Di Martina De Biase

Cosa ci viene in mente quando pensiamo al rugby? Pensiamo alla lealtà, al rispetto, alla disciplina, all’uguaglianza, alla generosità, alla fratellanza; insomma a tutte quelle virtù che fanno grande uno sport e soprattutto sano.
In realtà credo che questo sport “ovale” meriti un aggettivo più adeguato e che, tra l’altro, va a racchiudere tutti i valori sopra citati ed è… anticonformista. La palla usata in questo sport è un simbolo dell’anticonformismo, non essendo un vera e propria palla, poiché noi chiamiamo “palla” qualcosa di sferico. Riguardo all’essere anticonformista oggi è essere tendenzialmente corretti verso il prossimo o meglio a tutto quello che riconduce ad un civile modus vivendi. Il rugby è questo, ma l’essere così oggi è demodè. Basti guardare la combinazione morfologica della parola “RUGBY”e vediamo che ha molto poco di italiano, molti fanno ancora fatica a scriverlo! E’ uno sport lontano da noi e si ha la sensazione che, per quanto vogliamo allenare il nostro corpo, plasmare la mente alla sportività che questo sport richiede , sembra che sia un mondo che, per come realmente viviamo, non ci appartiene affatto. Un’Italia fatta di soprusi, di gente egoista che pensa a sé e al suo orto, che pratica il senso di umanità nelle chiese e nella comunione con Dio, unita per le calamità naturali e solo in quel caso ci si ricorda di essere cittadini dello stesso “orto”. Un’Italia che sembri giocare una partita di rugby dove ognuno dei XV gioca per sé e nel caso qualcuno di questi andasse in meta , c’è chi festeggia falsamente e chi non esulta perché manifesta chiaro il suo non sentirsi parte integrante di quel contesto, come per dire: “Tanto non ha importanza perché non sono stato io a segnare!”
Un ragionamento che non ci porta all’unione, una logica che segue la situazione quotidiana che vive moralmente questo paese. Abbiamo dimenticato i sacrifici, abbiamo dimenticato lo sport, abbiamo venduto la nostra anima al Signor Denaro, abbiamo dimenticato di vivere! Eppure in un mondo che va come deve andare(!) e in un’Italia che va a rotoli, esiste il rugby ma solo in luoghi molto distanti dalla nostra idea di sport o troppo vicini da non comprendere ugualmente niente, forse perché pensiamo ignorantemente che come popoli non li riteniamo nostri pari, come la vicina Inghilterra e alla “lontanissima” Nuova Zelanda. Eppure siamo una terra di antichi gladiatori, di uomini eroici, ma che non sanno più comprendere, che non sanno più cosa significhi combattere e che quindi non sanno più farlo, se non come arrivare a fine mese (e si ritorna al concetto denaro). Io dico basta a tutto questo, si può cambiare, si deve cambiare per la crescita morale ed etica dello sport, della gente. Siamo stanchi di vedere uomini che non sanno giocare con lo sport e che deteriorano il più bello degli spettacoli. Il rugby sta nascendo dietro le quinte di questa Italia, a passi giganti, e con quali presupposti senza quel popolo che sappia capirlo davvero? Ho paura per il rugby, che questo diventi una battaglia che farà solo morti e non leali sconfitti. Che quelli che ne sono ai vertici non riescano a seguire l’onda dell’evoluzione e, soprattutto, a comprenderla. Ed è così che tutto diventa ingestibile: si aprono campi non a norma pur di poter contenere in qualche modo lo tsunami di questo sport, si pensa a vincere e non a crescere, che non è importante comunicare la sacralità del vivere tutti i giorni come un rugbista, ma giocarsi la partita e riempirsi boccali di birra. La realtà è un’altra: il rugby ha bisogno di crederci, e insieme ad esso, anche quelli che lo rincorrono per raggiungere il retro delle sue H con pubblico al seguito. Il rugby non ha bisogno di gente alla “calciopoli”, ma solo di gente che capisca lo spirito di questo percorso e che abbia sempre cura di pulirne le macchie, che purtroppo non sono di fango a volte, ma del degrado sociale. Dobbiamo prima educarci ad essere uomini altrimenti non si andrà da nessuna parte nè col rugby nè nella vita.