Mamma mia, come sto invecchiando. E più il tempo passa, più sono costretto a salutare amici, amiche, amori, compagni di squadra, rugbisti. “I rugbisti non muoiono mai, passano la palla”, questo si racconta. Una bella visione per dire che rugbisti lo si è per sempre, ed è vero. E così noi ci aggrappiamo a quei ricordi ovali che sanno di olio canforato, lacrime e sudore. Ma in certi momenti arrivano quei placcaggi che non ti aspetti, quelli che normalmente fanno le terze linee che mettono la giusta pressione. Quelli dove ti ritrovi a terra e non puoi far altro che bestemmiare tra te e te (spesso anche ad alta voce), perché non potevi fare altrimenti, se non mantenere il possesso della palla e cazzo quello sei riuscito a farlo. Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché è arrivato il momento di ricordare anche Cristina, la migliore amica della mia Caterina e, dopa anni di discussioni, direi che era diventata anche un po’ la mia. Caterina nasce in una famiglia di rugbisti. Si innamora del rugby già in tenera età, più o meno quando su gli spalti del vecchio stadio un pallone calciato in touche centra in pieno la sua carrozzina. Era destino? Sicuramente sì. Lei, poi, accompagna i fratelli agli allenamenti. Osserva, si allena da sola, fino a che suo padre la lascia andare ad allenarsi con i maschi, sia chiaro il ritardo non era certo perché “fosse donna”, solo per eccessiva apprensione da parte di papà Guido (era da sempre perdutamente innamorato della sua Cristina). Lei così si ritrova catapultata in un mondo dove non le fanno passare niente, botte e placcaggi fin dal primo allenamento. Ma lei affronta tutto. Del resto lei è da sempre una combattente. Già perché già troppo giovane aveva dimostrato di essere una con un grande, grandissimo carattere: mamma Maria, infatti, se n’era andata una mattinata di primavera e lei senza batter ciglio e lacrime (almeno davanti a tutti) aveva gestito in maniera impeccabile papà Guido e quei tre fratelli rugbisti, che la facevano dannare. Lei così si è allenata più degli altri, ha giocato in allenamento, ma mai in partita. Segnato mete su mete. L’hanno fatta giocare apertura e guardarla è sempre stato un piacere. Si muoveva con una consapevolezza incredibile e con una perfezione impeccabile. Così il tempo passava e arrivata ai 18 anni decise che era arrivato il momento di emanciparsi. Chiudere con il rugby, giocato almeno, e mettersi a studiare medicina. Esame dopo esame, in ogni caso, trovava sempre il tempo di venire al paese a vedere giocare i suoi fratelli e suo padre. Nel mentre prendeva ogni brevetto di allenatore possibile e, una volta laureata, aveva trovato lavoro come medico in ospedale e, di conseguenza, era diventata il medico sportivo della squadra di rugby del paese. In quel momento, poi, siamo arrivati in squadra io e Mario, detto Mariolino, il futuro capitano. Io, come già sapete, mi sono innamorato perdutamente della migliore amica di Caterina, mentre lei, dopo un corteggiamento eterno, si è lasciata rapire dalla serietà di Mariolino. Così abbiamo iniziato un’amicizia di quelle spettacolari, Mariolino e la mia Cristina riflessivi e seri, mentre io e Caterina fumantini e critici su tutto. Non vi dico le litigate. Quando si parlava di rugby poi…lei voleva avere ragione, sempre e la cosa fastidiosa era che ce l’aveva e così si discuteva. Quanto abbiamo discusso. Tantissimo. Ma non ricordo momento della mia vita, bello o brutto, in cui non ho incrociato il suo sguardo. Alla morte di mamma c’era. Alla nascita dei miei figli, lei era lì sorridente. Dopo le vittorie sul campo, lei c’era; come dopo le sconfitte. Durante e dopo gli infortuni lei c’era. Dopo le rare litigate con la mia Caterina, lei c’era (spesso a dirmi di tutto). Allo stesso tempo, posso ben dire di essere stato il suo più grande nemico/amico. L’ho vista sposarsi, da testimone di Mariolino, c’ero alla nascita di loro figlio e ci sono stato sempre. Poi ad una cena, dopo una partita. Parlando del più e del meno. Ci ha detto che le avevano trovato un problemino al seno. Ne ha parlato come se niente fosse. A mia moglie e a suo marito è caduto il mondo addosso, io l’ho affrontata come ho sempre fatto. Lei mi ha mandato a cagare. I successivi tre mesi sono stati una battaglia e lei non si è mai tirata indietro davanti a nulla, ha lottato come il migliore dei rugbisti. Ha amato i suoi figli, ha amato Mariolino e ha amato Cristina. Con me si è scontrata fino all’ultimo. Io e lei ci volevamo bene così. L’ho salutata una domenica mattina, prima di una delle mie ultime partite. Sono andato a casa sua, sono salito per salutarla. Lei era stranamente seria, mi sono avvicinato, mi ha abbracciato e mi ha detto di prendermi cura della sua famiglia. Io le ho detto di non scherzare. Che sarei tornato dopo la partita e che avrei seguito tutti i suoi consigli. Lei mentre uscivo mi ha detto: “Non fare cazzate, usa la testa e gioca come sempre con il cuore”. Ci siamo sorrisi. Se n’è andata quel pomeriggio. Per onorarla abbiamo fatto uno dei terzi tempi più memorabili della storia, abbiamo pianto (tutti), andiamo riso (tutti). Poi siamo tornati a casa e da quel giorno io ho smesso di discutere. Nessuno aveva il carisma della mia migliore amica, per cui non ne valeva la pena.

@davidemacor