Giacomo Nicotera, ventotto anni, triestino, con gli occhi furbi da scugnizzo, un quintale abbondante distribuiti in centottantatre centimetri, di professione rugbista.
La solita terza linea “mutato” in tallonatore. Insomma uno di quelli che ci rimettono i padiglioni auricolari in prima linea.
La carriera tutta in discesa, o tutta in salita, ma si sa come la vita è tutta una questione di prospettive.
Venjulia Trieste, Mogliano, San Donà, Rovigo, il grande salto in Benetton e, boom, l’azzurro con l’Italia A nel 2021.
E’ oggi uno dei pezzi pregiati del nostro rugby, un riferimento della Nazionale Maggiore, e le trombe dorate del grande rugby, da oltre frontiera, fanno giungere segnali.

Ma Nicotera non è un cognome triestino
No, siamo a Trieste da diverse generazioni ma le origini sono napoletane.

In questo ultimo Sei Nazioni, rispetto al precedente, la mischia è apparsa più sicura.
E’ il frutto del lavoro fatto. Grande attenzione sui dettagli e grande impegno da parte di tutti in palestra. Essere, spesso, meno performanti, ma inteso con meno chili, rispetto alle mischie avversarie, anche senza considerare la Francia, pone il focus sulla coesione in spinta, la compattezza, la consistenza, la tecnica, la legatura, i tempi d’ingaggio, una crescita fisica importante. La parola d’ordine è stata “nessun rischio” in certe zone del campo, soprattutto, nei nostri cinquanta metri. Allora massima disciplina, seguendo le indicazioni degli arbitri e cambiando, in tal senso, totalmente l’immagine che avevano di noi. Questi accorgimenti, sono state le nostre armi. Considera che la nostra mischia è tutto sommato giovane se Ferrari, con i suoi trent’anni e poco più di cinquanta caps, è il più “vecchio. Il Sudafrica con l’esperienza lì davanti ha vinto l’ultimo mondiale.

Moretti e Ongaro, due ex tallonatori, due ex Azzurri. Il primo tuo coach in nazionale, il secondo tuo allenatore a Treviso. Quali, se ci sono, differenze nell’approccio, nelle confidenze, nelle personalità …
Si due modi diversi di concepire il ruolo. Moretti è chirurgico nei dettagli. Nel pre-match è più orientato verso lo studio degli avversari, la strategia, la tattica, da adottare rispetto i lati deboli e i punti di forza. Durante la partita è molto attento alla tecnica, le legature, la postura, l’utilizzo del pallone. Ongaro, da parte sua, è più vocato a inculcarti una precisa mentalità in mischia, e prima linea in particolare, dove la fisicità ha un aspetto primario. Insomma è più per una lettura di guerra in mischia e alle varie chiamate crouch, bind, ti chiede di far pesare la forza, di mettere sotto gli avversari da subito. Ma non voglio che passi il messaggio che con Fabio non si studia.

Ma quando Giacomo era Giacomino cosa sognava di diventare?
Guarda, quando ero proprio Giacomino, quindi molto piccolo, non avevo una idea precisa rispetto la professione ma avrei voluto essere un maialino per potermi rotolare nel fango. Questo me lo ricordano i miei genitori, sottolineando, immancabilmente, che sono riuscito nell’intento. Francamente neanche ora so quale strada potrò intraprendere dopo il rugby giocato. Unica certezza è che adesso faccio ciò che amo di più e me la godo pienamente.

Per quali motivi un giocatore italiano dovrebbe andare a giocare all’estero? E ogni riferimento è puramente casuale.
Sono, davvero, tante le motivazioni. Dalle strutture, agli staff, dall’organizzazione societarie e il modo “aziendale” di gestione del rugby, dove niente è lasciato al caso e tu sei considerato un investimento, all’esperienza di vita. Io ho fatto una esperienza di soli due mesi in Nuova Zelanda, era una squadra amatoriale, paragonabile alla nostra serie A, ma vivi un altro Mondo, per alcuni aspetti inimmaginabili. Credo che il nostro rugby non abbia ancora una vera identità, una sua struttura, e si rischia di viverlo un po’ così, come l’ho vissuto io, diciamo ballonzolato di qua e di là. Ecco all’estero hai una prospettiva. Per quel che mi riguarda nulla è deciso ma mi sto indirizzando verso una scelta di vita.

Il sottolineare ogni volta che non hai alle spalle accademie, nazionali giovanili, ma ti sei fatto”da solo”, è gratificante o ti fa sentire un “brutto anatroccolo”?
Sinceramente mi viene anche da dire, “bon basta” però. Ho capito il ragazzo che viene dal nulla però stop ormai lo sanno anche i sassi quello che ho fatto e come l’ho fatto. Vorrei si parlasse del presente, magari del futuro, di Giacomo Nicotera di quello che sto facendo singolarmente e, come Nazionale e Treviso, stiamo facendo. Certo il mio percorso è sicuramente gratificante e mi hanno detto che da alcuni ragazzi è preso da esempio. Lavoravo per crescere senza un obbiettivo preciso perché ero convinto che il lavoro, un giorno, mi avrebbe portato qualcosa. Credo sia un bel messaggio, a livello di maturità, che il lavoro paga. Magari per chi oggi non è considerato.

Un libro, un film, un pezzo musicale
C’era una volta in America di Leone come film. Pezzo musicale dipende dai momenti. Nel pre-partita sicuramente metal come i Foo Fighters. Un libro direi Shogun, il romanzo di James Clavell.

Un tallonatore avversario che non vorresti mai incontrare.
Samisoni Taukei’aho degli All Blacks, veramente tosto, ma anche il gigantesco sudafricano Malcolm Marx.

Un piatto che mangeresti dalla mattina alla sera?
La torta di compleanno Nicotera. E’ una specie di cassata di origini napoletane che fa mio padre per tutti i compleanni. Ti assicuro che è buonissima.

Cosa vi dite nello spogliatoio di Treviso per i primi tempi strabilianti e le riprese “così così’”?
Non è questione di non essere capaci di controllare le partite. E’ una conseguenza del nostro modo di attaccare. Se è sempre importare fare punti ci sono momenti in cui diventa necessario. Mettere punti nel tabellino ti galvanizza, ti eccita, ti emoziona, ti entusiasma, ti aiuta, perché difendere, difendere e difendere ancora, per una partita intera, è veramente impegnativo ma ci sono squadre con una spiccata mentalità offensiva e, prima o poi, trovano gli spazi, creano il buco. Allora lì crolli.

Mare, monti, città d’arte … dove le tue ferie ideali
Amo andare in ferie dove si mangia tanto e si spende poco e generalmente al mare. Tradotto per un triestino è Croazia che è dietro l’angolo anche se, con il passaggio nell’Euro, i prezzi sono notevolmente cambiati.

Qual è il compagno di Nazionale con il quale vai più d’accordo?
Non che ci vada d’accordo (ride), perché spesso ci pizzichiamo, ma è Mitch (Lamaro ndr). E’ il mio compagno di stanza e ho avuto “l’onore” di essere scelto proprio da lui non appena sono arrivato in Nazionale. Inizialmente è stato un po’ difficile perché è un tipetto un po’ particolare, ma ci intendiamo.

La tua più grande soddisfazione rugbistica
E’ freschissima perché è l’ultimo Sei Nazioni. Per i risultati ottenuti come squadra, per come l’ho vissuta interiormente io, sono certo che rimarrà indelebile a prescindere da quello che mi succederà in futuro. Abbiamo fatto tanta “roba”, qualcosa di storico, ed è uno stimolo per fare ancora di più. Non so cosa faremo in futuro come squadra ma so che questo non è il traguardo ma un punto di partenza per arrivare ancora più in alto. Come gruppo vogliamo di più, siamo ambiziosi.

Allenatore anglosassone, allenatore latino. C’è differenza, almeno per la mia esperienza. Crowley proviene da una cultura rugbistica dura, con una disciplina quasi militaresca, dove il gioco, il dettaglio, sono fondamentali trascurando, forse, l’aspetto emotivo, l’aspetto psicologico. Quesada, da latino, senza ignorare i dettagli imprescindibili a questi livelli, ha puntato sulla sensibilità collettiva e individuale. Ci ha dato modo, ci ha insegnato, a gestire le emozioni. Tanti gli stimoli mentali ed è riuscito a portare, come dire, una diversa tranquillità nel gruppo. Il suo “lasciatevi andare”, o “l’importante non è il risultato ma la reazione come squadra”, il suo apprezzare come combattiamo l’uno per l’altro, il sollecitarci a una maggiore libertà emozionale nell’affrontare l’impegno, ci ha aiutato a scioglierci e sbloccare situazioni. Nei vari incontri di gruppo fra di noi, anche molto profondi e intimi, non sono mancati i pianti e ha, in qualche modo, agevolato l’unione di squadra. Con Kieran, tutto questo, era un po’ più difficile visto la sua impostazione.

Ma se ti dico Bora, tu cosa mi rispondi?
Ti rispondo: me svola via el gato e touche storte.

 

UMBERTO PICCININI