Guarda la palla, poi passala. Ma mai in avanti.

Così mi disse quel gallese durante la Seconda Guerra Mondiale. Guarda come stanno i tuoi compagni, poi passala.

E non farla cadere.

Cercava giocatori per la squadra di rugby della RAF, la Royal Air Force. Io gli dissi che non avevo mai preso in mano una palla ovale in vita mia, ma che ci avrei provato. Non ero mai stato digiuno di sport, nei miei anni verdi: sono stato campione scozzese di canottaggio, ho praticato la boxe e il judo con discreti risultati. Perché no? Ho provato anche il golf, ma guai a voi se mi farete vedere ancora una pallina di quelle. C’è gente che dice che si rilassa tra mazze e buche, io non sono di certo iscritto a quel club.

Già, perché no?

Era il 1948, avevo venticinque anni, se non sbaglio.

Guardai la palla, la passai, non vi dico le volte che mi è scappata in avanti.

Nei successivi sessant’anni non smisi più.

Lo so, vi sembrerà strano cominciare a praticare uno sport ex novo a quell’età, ma il rugby per me fu come incontrare di nuovo il primo amore, e non c’è un’età da pensione quando si parla di amore. E però questo amore ha un pregio: in qualsiasi stagione della vita venga a prenderti ha il potere di fermare il tempo. Da allora, ogni volta che placcavo qualcuno, ogni volta che la palla arrivava dalle mie parti, era come se sentissi sulle mie gambe e sulle mie spalle dieci anni di meno.

Quando tornai dal servizio militare cominciai a giocare con lo Stirling County, il club della mia città. Colori sociali bianco, rosso e blu, classiche righe orizzontali. Da quel momento non ho mai indossato altri colori.

Debuttai in prima squadra con discreti risultati. Poi, dopo ventisette anni e alle prese con una carta d’identità dannatamente puntuale nel presentarmi gli acciacchi, l’approdo nella seconda. Perché è vero che mi sentivo sempre giovane, è vero che in certi momenti avevo l’impressione di sentirmi invincibile, ma è pur vero che nelle nostre vite trova sempre spazio più di un lunedì.

Poi nella terza.

Sempre lì, sempre allo Stirling.

E così via, fino alle categorie dedicate a noi vecchie zampogne. No no, non sto offendendo la nostra avvizzita categoria di pensionati o giù di lì. Nel 2008 abbiamo partecipato al Mondiale di Rugby categoria over 35, ci chiamavamo proprio così, the Baggie Pipers. Io, modestamente, ero il più anziano della compagnia, con i miei 85 anni. E ci siamo divertiti pure parecchio, visto che abbiamo battuto la squadra di Gavin Hastings, ex capitano della Scozia che tanto ci fece piangere, con quel calcio maledetto nella semifinale del 1991.

Poi basta, decisi di appendere le scarpette e il paradenti al chiodo. Non perché mi fossi stancato, non era quello. Mia moglie aveva bisogno di me, stava per uscire dal suo personalissimo campo dopo una partita strepitosa. Glielo dovevo, sia perché è stata al mio fianco per più di mezzo secolo, sia perché ha sopportato me e la palla ovale più di quanto fosse obbligata a farlo. La convinsi ad accorciare la luna di miele per essere in campo coi miei compagni, lei non fece una piega.

Sapete, è dura rimanere fuori a guardare. Soprattutto se il rugby, come nel mio caso, è parte integrante dei giorni che passano. Certo, puoi farti un’oretta di corsa a piedi, continuare con la dieta, andare a vedere i ragazzi di ieri e di oggi che si passano la palla, ma non è la stessa cosa.

Non può essere la stessa cosa.

Non se per sessant’anni sei stato uno di loro.

Se sei bravo a crederci, però, la vita un bel pallone ogni tanto te lo passa. A Stirling decidono di giocare un match i cui proventi andranno in beneficienza. Rugby di un certo tipo, non proprio per scappati di casa, ma pur sempre rugby.

Mi presento in sede, mi accolgono con tutti gli onori.

E non ci pensano poi troppo: posso giocare.

Il giorno della partita la mia carta d’identità dice 95. Anni, non chili.

Ma per quaranta minuti, tutto il tempo che mi viene concesso prima di essere sostituito e di dedicarmi al terzo tempo, mi sento come quando quel gallese mi disse di guardare la palla e di passarla. Mai in avanti, se possibile.

Gallese, se mi senti questa birra è per te.

Un giorno forse ci rivedremo, in questa o in un’altra dimensione, e vedrai quanto sono diventato forte.

Per ora, però, guarda come questa vecchia zampogna si diverte a placcare ancora tutto e tutti.

Lutti, lunedì mattina e l’età che avanza.

Firmato: Easton Roy, 95 anni.

Orgogliosamente una vecchia zampogna, nonché l’ala più vecchia della città.

Quella che ha ancora voglia di mostrare la targa a tutti.