Di Giacomo Civino

Esiste la meta perfetta? Di sicuro sono diverse le mete che hanno spezzato il fiato a diversi appassionati di rugby, ma, una su tutte, è quella che viene ricordata con maggior pathos dai tifosi. Non tanto per l’atletismo individuale o per lo spunto del singolo quanto per la coralità e per l’armonia dell’azione stessa.

Correva il 27 gennaio del 1973, quando all’Arms Park di Cardiff andava in scena il match tra Barbarians e All Blacks. Siamo al secondo minuto di gioco, l’azione è confusa e i neozelandesi calciano il pallone nella 22 avversaria. A questo punto, ecco il capolavoro. Il pallone viene raccolto sulla linea dei dieci metri da Phil Bennett, spalle rivolte alla meta avversaria. Bennett si volta e, da solo, dribbla tre neozelandesi. La palla arriva a JPR Williams che riceve un placcaggio alto, ma riesce a liberarsi del pallone a favore di John Pullin. In difficoltà, l’inglese libera verso John Dawes che accelera. Il sostegno dei compagni è impressionante, almeno 5 o 6 sostegni corrono alle sue spalle. Dawes supera un paio di All Blacks e passa all’interno il pallone a Tom David, alla sua prima apparizione con i Barbarians. Sempre con un grande sostegno, David supera la metà campo e, mentre viene placcato, passa con un offload il pallone a Derrick Quinnell. Ma non è finita qui. Sempre con tutta la squadra alle sue spalle, Quinnell gioca a una sola mano la palla all’esterno. Probabilmente il pallone non voleva essere per Edwards, più in dietro rispetto all’azione, ma per David Duckham. Ma Gareth Edwards è un fulmine, si infila tra compagni e avversari e afferra il pallone. Lo scatto è perentorio, il mediano di mischia gallese entra nei ventidue metri neozelandesi e continua a premere sull’acceleratore. Non ci sono più maglie nere tra lui e la meta. Edwards passeggia lungo la linea laterale, la sfiora e, infine, il tuffo in meta nella leggenda.