Mai vista una roba del genere. Ma proprio mai. Cento minuti di gioco, ottanta regolamentari e venti di supplementari, nessun vincitore. Certo che capitano i pareggi nel rugby, sono rari ma capitano. In campionato, almeno, spesso. In una semifinale di Heineken Cup non si era mai visto. Partite chiuse, combattute, difficilmente bellissime e a viso aperto, ma sempre con un vincitore al termine degli ottanta minuti. Il Millennium Stadium, non pieno ma bello vivace, sta assistendo a una cosa mai vista.

Si decide tutto agli shoot-out, praticamente i rigori calcistici mutuati al rugby.

Pallone su piazzola, linea dei 22. Due pali da centrare, una traversa da superare.

Prima quelli che le tomaie le sanno far parlare, che magari cerchiamo di chiuderla subito.

Poi gli altri, forse.

Senza forse.

Tocca al Capitano, al Re di Cardiff. Martyn Williams, in due parole. Qualche anno in più rispetto ai tempi d’oro, qualche capello rosso in meno. Chili e presenza fisica sempre uguali. Uno dei cardini del Galles due volte autore dello Slam e uno degli idoli indiscussi di Cardiff. Recordman di presenze in maglia rossa. L’ultima volta che ha visto una piazzola da così vicino, forse, è stato in qualche campo di periferia, in una qualche selezione giovanile, negli anni in cui, prima che Madre Natura decida per te, i ruoli te li cucchi tutti. Eh, con Martyn Williams dev’essere andata così, qualche capatina tra i centri da giovane deve averla fatta, quegli angoli di corsa e quella progressione, se non nasci nell’altro emisfero, non è che si vedono così tanto spesso in giro.

Non a Cardiff, almeno.

O forse quando giocava a calcio. Difensore centrale, sempre a livello giovanile. Altri mondi, altri palloni, forse.

Piazzola. Ovale caricato, pubblico di più. Williams qualche volta i piedi addosso ad un pallone li ha messi. Calci di spostamento per lo più, anche qualche perfido rasoterra a mettere in difficoltà le seconde linee di difesa avversarie. Sì, ma la piazzola è un mondo a parte. Ci vogliono concentrazione, battito cardiaco da scalatore consumato sul Pordoi, sangue freddo. E mira. Tantissima mira.

Hanno sbagliato in tanti, con i pali davanti. Chiedete a Julien Dupuy, mediano di mischia francese del Leicester. Tanti anni a Biarritz, gioco ordinato e pulito, tanto ritmo. E tanta precisione davanti ai pali. Sì, ma a Cardiff i primi tre tentativi finiscono fuori. Cavolo, avrebbero Toby Flood, da tanti designato come il vero erede di sir Jonny Wilkinson, ma fanno calciare quel francese. Gli inglesi avevano investito qualche soldo in Derick Hougaard, sudafricano entrato dalla parte sbagliata della storia il giorno in cui, alla Coppa del Mondo del 2003, decise di raccogliere uno dei più brutti passaggi mai partoriti da Joos van der Westhuizen. Gli arrivò addosso Brian Lima lanciato a mille come gli omonimi trenini, si rialzò dopo cinque minuti. Gran piede, quell’Hougaard, solo che è infortunato. Male, i Blues possono vantare tra i  titolari almeno tre piazzatori con ottime percentuali. Sono andati in vantaggio con una stoccata di Ben Blair, estremo, già titolare con gli All Blacks, capace di segnare quasi 200 punti con i Crusaders negli anni del passaggio di consegne tra Andrew Mehrtens e Dan Carter. Avercene. Ne hanno, ne hanno. Da questo punto di vista sembrano il Brasile del ’70, quello che schierava 5 numeri 10 alla volta. Gli altri, al massimo, facevano la staffetta. All’apertura c’è Nicky Robinson, sfortunato nel trovarsi davanti, a livello nazionale, un mostro come Stephen Jones. Ma un sinistro così, a livello europeo, lo si è visto poche volte. E all’ala, a fare da apprendistato, c’è un ventenne di belle speranze. È piccolino, è alto “solamente” 178 centimetri, ma è un mago sui palloni alti. Ha già debuttato in Nazionale, dicono sarà l’estremo titolare alla prossima Coppa del Mondo. Si chiama Leigh Halfpenny, ne risentiremo parlare. I Cardiff Blues sono una gran squadra, unica a terminare la fase a gironi dell’Heineken Cup edizione 2008-2009 da imbattuta. E no, non ci sono solo piedi educati lì dietro: ci sono le gambe di Tom James, due centri come Jamie Roberts e Tom Shanklin, una terza linea spaventosa dove, oltre al Capitano Martyn Williams, trovano spazio Xavier Rush e il gigantesco Molitika, che a fine carriera passerà pure per San Donà. Gethin Jenkins, Filise, Bradley Davies. Paul Tito, che è capitano e ha già abbandonato il match dopo soli 9 minuti. Uno squadrone, in grado di battere lo Stade Tolousain ai quarti di finale e di potersi giocare la semifinale di nuovo in casa. Dall’altra parte, però, non è che se ne stiano con le mani in mano: è vero, Dupuy sbaglia tre calci, ma al primo allargamento Flood attacca la linea e scarica l’ovale a Scott Hamilton, spuntato fuori a sirene spiegate da non si sa dove. Meta in mezzo ai pali, stavolta Dupuy fa centro. Leicester non se ne sta con le mani in mano, né dispone di una brutta squadra, se è vero si possono permettere di tenere in panca un genio come Aaron Mauger, 46 volte All Blacks. In prima linea gravitano due mostri come Marcos Ayerza e il nostro Martin Castrogiovanni, poi ci sono Ben Kay, Jordan Crane e Tom Croft. Non se ne sono visti molti avanti in Inghilterra con l’acume tattico e la materia grigia di Tom Croft. Sono due gran squadre, è giusto che siano lì a giocarsi un posto in finale, da giocarsi a Murrayfield contro il Leinster. Dupuy infila un altro calcio, ma a recuperare lo strappo inglese ci pensano due piazzati chilometrici di Halfpenny inframmezzati da uno di Blair, 12 a 10 con il Millennium che, semmai avesse smesso di esultare, riprende colore. Dupuy chiude il primo tempo con un altro piazzato, poi si inventa la seconda meta inglese: lunga corsa sul filo della rimessa laterale di Johne Murphy, un paio di raggruppamenti nei 22. Poi il numero 9 francese fa il giocoliere e infila Flood in un buco millimetrico. Capisce tutto Geordan Murphy, capitano a Cardiff e capitano con il trifoglio sul cuore. Fanno a tempo a prendergli la targa, è 20 a 12 in mezzo ai pali. Arrivano altri due calci inglesi, Dupuy sembra aver scaldato il piede. La partita, quando mancano meno di venti minuti, sembra segnata. E chi li recupera quattordici punti a quella squadra? È da un’ora che i Tigers stanno massacrando ad ogni raggruppamento i padroni di casa, c’è Tom Croft che a momenti cammina sulle acque appena smosse dai gallesi. Erodono metri, non lasciano un minimo di spazio di manovra. Certo, avranno steccato contro Perpignan e Ospreys nel girone, ma deve succedere veramente qualcosa di insondabile per rimettere in piedi la partita.

E succede.

Si fa male Flood, innanzitutto, che stava facendo un partitone. Poi ci pensano Newby e Geordan Murphy, un giallo a testa, tra il 62’ e il 68’. La terza linea rientra con il punteggio invariato, ma a cambiare è proprio il vento: i Blues prendono coraggio e ci provano. Mancano sette minuti, Jamie Roberts riceve l’ovale sui dieci metri, finta un passaggio e si infila nel buco. Poi naviga, ma non è più fermabile da nessuno. Blair, da posizione improba, indovina i pali. Il Leicester riparte dal drop, palla a Cardiff.

Che allarga tutto l’allargabile.

O quasi, perché Jamie Roberts prende l’interno e rompe un placcaggio.

Il Millennium salta per aria, c’è superiorità netta. Roberts fissa l’uomo e serve Tom James.

Sono 60 metri tondi tondi, gli inglesi la palla non la vedono più.

Blair trasforma ancora, è pareggio.

E adesso?

Nei due supplementari, se si esclude un velleitario drop di Johne Murphy, non succede praticamente nulla.

Fino a due minuti dal termine, quando comincia quella che è una vera e propria corsa agli armamenti. Leicester si ritrova senza calciatori di ruolo in campo, visto l’infortunio di Flood e vista la sostituzione di Dupuy nel secondo tempo. Dan Hipkiss, secondo centro, sanguina dal labbro, è necessario un cambio, torna in campo Dupuy. Nello stesso momento i Blues cambiano Jamie Roberts, bene ma non benissimo alla tomaia. Entra Ceri Sweeney, già nazionale e già apertura di ruolo ai Dragons. Ottimo dalla piazzola, ça va sans dire. Poi i supplementari terminano, comincia il ballo dei debuttanti.

Si decide tutto agli shoot-out, praticamente i rigori calcistici mutuati al rugby.

Pallone su piazzola, linea dei 22. Due pali da centrare, una traversa da superare.

Prima quelli che le tomaie le sanno far parlare, che magari cerchiamo di chiuderla subito.

Poi gli altri, forse.

Cominciano la serie Blair e Dupuy, segnate un bersaglio a testa.

I Blues sulla carta sono favoriti, hanno in lista quattro giocatori che in potenza potrebbero tranquillamente scambiarsi il ruolo di piazzatore designato senza che il risultato sul campo cambi di molto. Halfpenny e Robinson centrano i pali, pareggiano a loro volta Sam Vesty e Geordan Murphy, quest’ultimo con qualche brivido. Leicester ha finito le sue carte pesanti in questo fondamentale. Tocca a Sweeney, ancora dentro. Poi Johne Murphy. È quello che ha provato il drop ai supplementari.

Fuori.

Cardiff, nel tripudio generale, ha il match ball.

Si presenta dalla piazzola Tom James, che qualche allenamento al piede con Neil Jenkins, in Nazionale, l’ha pure fatto. È mancino, sistema la palla. Guarda i pali, rincorsa lenta.

Palla fuori di un bel po’.

E allora non è finito niente.

Pareggia Hamilton, si va ad oltranza.

Segnano Shanklin e Mauger.

Cavolo, gli inglesi hanno Mauger e lo usano solo ora.

L’ovale calciato da Richie Rees compie un Fosbury sulla traversa: bassissimo, si arrampica a fatica, si inarca, va di là. Il Millennium trattiene il fiato per un po’, guarda le bandierine alzarsi, respira. Newby pareggia, pure con un gran bel calcio. Proprio vero che questi neozelandesi su un campo da rugby sanno far tutto.

Mai vista una roba del genere. Ma proprio mai. No, non il calcio di Newby.

Tocca al Capitano, al Re di Cardiff. Martyn Williams, in due parole. Qualche anno in più rispetto ai tempi d’oro, qualche capello rosso in meno.

Piazzola.

Ovale caricato, pubblico di più.

Williams qualche volta i piedi addosso ad un pallone li ha messi. Calci di spostamento per lo più, anche qualche perfido rasoterra a mettere in difficoltà le seconde linee di difesa avversarie. Qualche presenza da difensore centrale negli anni delle giovanili.

Sì, ma la piazzola è un mondo a parte.

Ci vogliono concentrazione, battito cardiaco da scalatore consumato sul Pordoi, sangue freddo.

E mira. Tantissima mira.

L’ovale finisce a lato.

E adesso il match ball ce l’ha Leicester con Jordan Crane. Crane a 12 anni ha fatto un provino per il West Bronwich Albion, club calcistico inglese di discreto valore e fascino. Tutta la Cardiff che sa questa storia sta sperando che si sia dimenticato come si fa a colpire un pallone.

Pali centrati, è finita.

Gli inglesi esultano, ma sono contenuti. No, non perché sono inglesi e quelle cose lì bisogna farle con moderazione, che son cose da gente di lignaggio più basso. Gli inglesi si battono il cinque, si abbracciano. Poi vanno a salutare Martyn Williams, seduto in mezzo al verde di un campo dal quale vorrebbe volentieri sparire. Lo abbracciano, lo rincuorano a parole. Non è circostanza, sanno benissimo che poteva capitare pure a loro, che lì la tecnica individuale conta fino ad un certo punto. Non è questione di tecnica, di sangue freddo, di cuori che sanno rallentare. Neppure di mira. È fortuna, tante volte.

Williams uscirà dallo spogliatoio dopo un’ora e mezza, distrutto e senza voglia di parlare con anima viva alcuna. Né nessuno ha il coraggio di avvicinarlo per dirgli qualcosa. Che gli dici, poi?

Che un giorno forse andrà meglio? Trentaquattro anni per un flanker con quelle doti sono tanti.

Che la vecchia Lizzy, Sua Maestà, lo nominerà Membro dell’Impero Britannico per i servigi dati al rugby? Sì, ma mica si torna indietro.

La mira si può allenare. Il sangue freddo c’è.

La fortuna, quella no.

Quella, in giro per Cardiff, tornerà.

Viene e va, ballando e barcollando.

Come una palla da rugby.

Senza piazzola, meglio.