La storia della squadra di rugby che sfidò l’apartheid

Ogni persona che almeno una volta è entrata in un campo da rugby, per un allenamento o una partita, ha avuto la sensazione che sia qualcosa di speciale. Se poi su quel campo c’è rimasto e cresciuto, come uomo e come atleta, sa quanto la palla ovale possa forgiarti, cambiarti, crescerti.

Non puoi fidarti di gente così (Mondadori, € 20,00) di Massimo Calandri è la storia di un gruppo di ragazzi che grazie al rugby non hanno cambiato soltanto le loro vite, ma hanno fatto la storia dello sport.

Perché la tournee della selezione italiana in Sud Africa (guai a chiamarla nazionale) del 1973, segna indelebilmente la storia dello sport e della politica sportiva internazionale.

Colpisce essere riportati in quegli anni, nelle vite di Bollesan, Paoletti, Quaglio e compagni, così diversi e incredibilmente legati da un prato verde confinato tra due H, che si ritrovano, quasi per caso, lontanissimi da casa, dal lavoro, dagli affetti e da una Italia tanto diversa da quella di oggi, trasportati in un Paese isolato politicamente e sportivamente dal razzismo dell’apartheid.

Un’avventura fatta di allenamenti durissimi mai provati prima, di partite tra i colossi Sud Africani e gli Italiani, troppo piccoli per giocare a rugby. Una lotta tra Davide e Golia fatta di scontri epici, descritti con precisione dall’autore che grazie a interviste ai protagonisti e agli articoli dell’epoca ricostruisce in maniera chirurgica tutta la tournee sud africana. Il lettore  viene catapultato all’interno della storia come fosse uno della squadra, che prova paure e sentimenti ora di uno ora dell’altro, che soffre per le sconfitte e gioisce per i terzi tempi e che vuole che una storia così non finisca mai. Perché emozioni del genere sono e resteranno uniche nella storia del rugby mondiale: quando gli italiani usarono lo sport come strumento di fratellanza, incontrarono i Leopards (la squadra dei neri sudafricani) con la consapevolezza che lo sport può cambiare il mondo.

Un libro da leggere assolutamente.