Camion.

Camion e cavalli.

Gli irlandesi, quando non giocano a rugby (perché ci giocano in tanti) e quando non lo guardano in tv, guardano gare di camion e cavalli. Non in televisione, non solo. Pure al pub. Tra Guinness, sbraita menti vari per battistrada più o meno marcatamente incisi a terra, zoccoli e altra Guinness. Dublino e gli irlandesi sono fantastici. Sono a una manciata di metri dal Royal Dublin Society, casa della squadra nettamente più forte e dominante d’Europa, ma camion e cavalli tengono un sacco di energumeni distanti dalle tribune.

Non so ancora per quanto, visto che qua dentro dominano il blu, il bianco e il nero. Sciarpe, bandierine, maglie, giacche. Tutta gente che fra poco entrerà allo stadio a tifare Leinster.

Noi no.

Ci siamo inseriti nell’ambiente a suon di pinte, ma non siamo qui per il Leinster. Portiamo in alto i colori della Benetton, largamente sfavorita ma pronta a dare tutto su un campo impossibile. Non siamo in tanti, considerato che allo stadio saremo una cinquantina. Sì, una cinquantina se considerate i giocatori in campo e in panca. In tribuna, più tardi, saremo circa venticinque. Abbiamo sfruttato il weekend per visitare Dublino, per provare le differenze tra la Guinness di casa e quella che cercano di propinarci dalle nostre parti. E per tifare Treviso, ovviamente. Oh, gli irlandesi (e tutti gli altri) vengono a vederci  affrontare i loro beniamini e poi se ne vanno a Venezia, possiamo noi essere da meno quando possiamo ricambiare il favore? Partenza il giovedì, due giorni per le vie della capitale e all’Aviva Stadium, poi via con la partita. Finiamo per alloggiare nello stesso albergo dei giocatori della Benetton. Si fa amicizia, non si sta troppo insieme per ovvie divergenze di preparazione al match, ma ci si saluta e ci si scambia due chiacchiere.

A parte il sabato.

Loro vanno a prepararsi e a scaldarsi, noi facciamo gli ultimi giri.

In tre decidiamo pure di scommettere sulla vittoria della Benetton, data a 12. Dieci euro a testa, non di più, metti che va bene.

Non succede, ma se succede..

Camion e cavalli, cavalli e camion.

Almeno fino all’apertura dei cancelli.

Lo stadio si riempie velocemente. C’è tutto quel che serve per passare qualche ora in serenità: ci sono i chioschi per chi non è ancora sazio, c’è l’area giochi per i bimbi. E poi c’è il campo, per chi non è ancora sazio di rugby. Noi tifosi della Benetton non siamo tanti, ci mettiamo tutti vicini, ma siamo una chiara minoranza. Una piccola e rumorosa macchia bianco verde in un mare blu. Speriamo di non affogare, e che se proprio bisogna mettere la testa sotto ci sia almeno un po’ di schiuma bianca sopra.

Vengono inquadrati spesso Jonathan Sexton, Devin Toner, Rob Kearney, Garry Ringrose, tutti seduti in tribuna. Riposano oggi, i playoff per il Leinster sono in tasca e fra una settimana hanno la semifinale di Champions Cup. Non vogliono rischiare infortuni fastidiosi e altri inconvenienti. Con la Benetton, dicono, basta un mix di giovani e stranieri fortissimi. Non hanno tutti i torti, in fin dei conti, basterebbe guardare cosa ci hanno fatto a Treviso a dicembre. E basterebbe guardare che gente decidono di mettere in campo contro di noi. Barry Daly, per esempio, che sarà il metaman del torneo, oppure Joey Carbery, che è un fenomeno ma che in graduatoria è la terza apertura della squadra. Andrà a dirigere i trequarti di Munster, ma nel frattempo si ritaglia tutto lo spazio che può. C’è Jordan Larmour, che sarà il prossimo estremo della Nazionale. E poi vecchi filibustieri come Jamison-Park, McFadden, Sean O’Brien, Strauss. Questi ci fanno neri, molto probabilmente, anche se siamo vicini alla nostra stagione migliore. I playoff non sono troppo distanti, ma battere Leinster va oltre le nostre possibilità. Non scherziamo, la squadra che ci affronta stasera potrebbe tranquillamente competere per il titolo senza i mammasantissima seduti in tribuna.

E infatti segnano subito. Strauss, il tallonatore, sbuca fuori dalla maul e trova il varco, 7 a 0. Il pubblico di casa, esulta, sventola bandiere, ma sembra quasi si controllino. Non so se è paura di disturbare o se annusano il fatto che non sarà l’ultima meta che vedranno stasera. Infatti, due minuti dopo, ne arriva un’altra.

Solo che la segniamo noi. Anche questa in maul, con Bigi che schiaccia. Allan non trasforma, 7 a 5. Siamo in piedi, tutti a gridare “Leoni Leoni” senza sota. Durerà poco, perché durerà poco, ma perlomeno una soddisfazione ce la siamo tolta.

Giochiamo bene, però. Giochiamo tanto bene. Loro sono più forti, hanno un blasone diverso, ma per contenerci devono sudare: Hayward appena vede un buco fa il diavolo a quattro, Allan è ispirato, Sgarbi incontenibile. E la difesa è un muro che, per ora, non se la sente di crollare. Fino alla fine del primo tempo, quando Daly anticipa Bronzini e schiaccia in bandierina. Il pubblico si diverte, apprezza la forza dei suoi e il coraggio dei nostri. Forse attende una ripresa in cui i favoriti obbligatori dilagheranno, forse è lì solo per vedere dei ragazzi giocare e per divertirsi. Almeno, noi siamo lì per quello. Ci divertiamo, tifiamo i nostri e vediamo quanto duriamo. Vediamo l’effetto che fa.

E la ripresa inizia con i nostri che non hanno paura. Né danno segni di aver finito la benzina: Tebaldi mette un calcetto velenoso nei 22. McFadden è incerto sul da farsi e non si accorge che Hayward è su di lui. L’estremo fa una cosa mostruosa: ancora in fase di atterraggio, e con l’ala irlandese appesa alle caviglie, sente chiamare il pallone e, più che passarlo, lo lancia. Lo ha chiamato Federico Ruzza, che raccoglie e vola  schiacciare. Chi ha visto il match da casa ci ha detto che ci siamo fatti sentire parecchio. Non sembravamo così pochi, o forse erano gli altri spettatori che non si aspettavano una partita del genere. Non ora almeno, non quando il gioco è nel vivo e dovrebbe toccare a loro mettere la parola fine.

E non si aspettano nemmeno che McGrath sbagli un passaggio del genere, qualche minuto dopo. Lo sbaglia proprio di tanto. E Tommy corre. Nei test atletici è il più veloce di tutti i giocatori di Treviso. Si allunga un paio di volte il pallone col piede, poi schiaccia, è sorpasso. Siamo avanti noi.

Facciamo un casino incredibile, lassù. E quando ci ricapita, da queste parti, di vedere i nostri far sudare freddo quei mostri ?

Ci guardiamo, io e gli altri due: non succede, ma se succede..

Eh ma sta succedendo: gli irlandesi sentono la botta. Sembrano reagire da squadra che si è appena scottata, perché al primo calcio utile vanno per i pali e accorciano. Poi, però, cominciano a commettere errori non da loro: Carbery spedisce direttamente fuori un calcio tattico che normalmente indirizza ad occhi chiusi, Daly non è più così imprendibile, gli altri sbattono addosso ad un muro che più passano i minuti e più sembra guadagnare in invalicabilità. I ragazzi sono padroni, attaccano come se davanti non avessero la squadra di club più forte d’Europa. Tebaldi ha fretta di giocare il pallone, vede un braccio malandrino di un irlandese nel raggruppamento e va per le spicce: pestone. L’arbitro lo vede ed estrae il cartellino giallo.

No, non così.

Non ora. Non con questi.

Cattivi presagi, nubi nere. Beh, un po’ ce lo siamo voluto, a dirla tutta.

Crowley, poi, non ha portato mediani in panchina, quindi tocca a Iannone smistare palloni. E lo fa pure bene, visto che gli irlandesi per dieci minuti non vedono palla. Forzano le ruck, quelli del Leinster, ma Manu è commovente nel reggere le Colonne trevigiane, neanche fosse Sansone. E, quando il pallone ce l’hanno loro, è sempre il numero 8 neozelandese a rompere le uova nel paniere: controruck e tenuto irlandese.

Respiriamo, rientra pure Tebaldi, non abbiamo subito danni.

Non potete capire quanto lo stadio stia respirando piano. Forse qui hanno capito, a cinque dal termine, che la partita la possono pure perdere. Fa rumore, il respiro silente di dodicimila irlandesi.

E poi facciamo la cosa più bella del mondo: nascondiamo la palla. Tante mini-unit, tante piccole ripartenze vicino ai raggruppamenti, tanti sacrifici uno dopo l’altro. Poi, come la campanella a scuola, l’arbitro esclama un poderoso “It’s time”.

È finita, Tebaldi non se lo fa ripetere due volte: palla fuori ad Allan, pedata in curva.

È successo e non ci crediamo. È successo e toccherà bere i 30 euro scommessi, che fateli voi i conti di quante birre fanno al cambio. Dolce condanna, fidatevi. Anche se il terzo tempo pensavamo durasse di più, qui a Dublino. Forse lo pensavano anche loro, gli irlandesi, forse la sconfitta ha accorciato gli orari di apertura e non lo sapevamo. Forse, viste le statistiche, non lo sapevano neppure loro.

Poi si ritorna a casa. Stesso volo dei giocatori, stesso volo di noi tifosi.

Si torna a Treviso a riprendere le nostre vite da dove le avevamo lasciate. Alla nostra quotidianità, ai nostri lavori, alle nostre lunghe ore che ci separano dalla prossima avventura.

Col sorriso tra le labbra, perché certe avventure regalano smorfie permanenti. Ci sanno sorprendere anche quando non ci stiamo pensando:  mentre un cliente non capisce la differenza tra macchiatone e cappuccino, mentre l’orologio sembra impantanato, mentre qualche camion, col suo incedere lento e compassato, rallenta un po’ tutti.

Quelli, in Irlanda, li sanno veramente far correre.